Trapianto di utero: dalla speranza alla realtà

Massimo Cardillo

Direttore del Centro Nazionale Trapianti, Roma.

Pervenuto il 17 ottobre 2022.

Il 2 settembre scorso, all’Ospedale Cannizzaro di Catania, è nata Alessandra, figlia della donna che ha ricevuto il primo trapianto di utero realizzato in Italia. Si tratta della prima nascita di questo tipo nel nostro Paese e del sesto caso al mondo di gravidanza portata a termine con successo dopo un trapianto di utero da donatrice deceduta.

Il trapianto di utero nel mondo è ancora una procedura sperimentale, per quanto in letteratura siano ad oggi stati riportati circa 90 trapianti di utero, la maggior parte dei quali da donatore vivente, con 31 bambini nati. Il primo trapianto di utero nel mondo è stato realizzato in Arabia Saudita nel 2000, da una donatrice vivente: il risultato fu tuttavia fallimentare e l’utero fu espiantato dopo circa 3 mesi a causa di una necrosi ischemica secondaria a prolasso massivo del graft. Questo primo tentativo, seppur non coronato da successo, è senza dubbio stato di ispirazione per numerose ricerche sperimentali nella decade successiva, che hanno portato nel 2011 al secondo tentativo, questa volta da donatrice cadavere: in questo caso il trapianto ebbe successo ma non determinò alcuna gravidanza. Negli anni successivi sono stati effettuati altri trapianti e da uno di questi, nel settembre 2014, è nato il primo bambino, seguito da altre 2 nascite nel novembre dello stesso anno.

Ma chi può beneficiare di un trapianto di utero? L’indicazione principale è l’infertilità assoluta da fattore uterino (UFI) congenita (assenza di utero per sindrome di Mayer-Rokitanski-Kuser-Hauser) o a seguito di isterectomia per neoplasie o complicanze ostetriche (casi di malformazione congenite o sindrome di Asherman). Si stima che nel mondo circa 1,5 milioni di donne, 1 donna su 500 (3% della popolazione generale), siano affetti da AUFI, a tutt’oggi una delle principali cause di infertilità.

La possibilità di Alessandra di venire al mondo nasce da molto lontano. Non solo dal desiderio dei suoi genitori, ma anche dall’organizzazione e volontà dei medici di rendere possibile un intervento complesso e di attuare un protocollo sperimentale disegnato ad hoc.

Era l’agosto del 2017 quando l’Ospedale Cannizzaro e l’AOU Vittorio Emanuele di Catania sottoponevano al Centro Nazionale Trapianti (CNT) un protocollo sperimentale per il trapianto di utero, corredato del parere favorevole del Comitato Etico di Catania. Nell’ottobre dello stesso anno il CNT provvedeva a inviare tale protocollo, per tramite del Ministero della Salute, al Consiglio Superiore di Sanità (CSS), seguendo l’iter abituale per queste tipologie di trapianto. Il CSS, dopo un’attenta valutazione e la richiesta di alcune piccole modifiche al protocollo, tra le quali l’individuazione del range di età della donatrice (18-40 anni), esprimeva un parere positivo in merito nel febbraio 2018. In seguito al provvedimento del CSS, anche il CNT si esprimeva favorevolmente, e nel giugno del 2018 la sperimentazione aveva inizio.

Il protocollo sperimentale di Catania prevedeva un percorso della durata di 3 anni, con il trattamento di 2-3 pazienti ogni anno, ed era limitato alla donazione da persona deceduta. Gli obiettivi erano diversi: validare la sicurezza della procedura, ottenere l’esito favorevole del trapianto dell’organo da un punto di vista funzionale e soprattutto raggiungere l’esito finale positivo della gravidanza e del parto.

Nel giugno 2018 il CNT avvia la ricerca di una donazione, su scala nazionale; nei primi 14 mesi di attuazione del protocollo vi sono varie segnalazioni di donatrici potenziali ma nessuna si concretizza. La volta buona arriva ad agosto del 2020, peraltro in piena pandemia Covid-19: una donna di 37 anni, deceduta per arresto cardiaco improvviso, che aveva espresso in vita il proprio consenso alla donazione al momento del rinnovo della carta d’identità, potrebbe essere la candidata ideale. La donatrice aveva avuto in passato gravidanze terminate con parto naturale. L’utero viene prelevato al termine del prelievo di tutti gli altri organi idonei, e trasportato con un volo aereo a Catania. L’intervento viene eseguito da un’équipe chirurgica composta dai professori Pierfrancesco e Massimiliano Veroux, Paolo Scollo e Giuseppe Scibilia. La paziente che riceve il trapianto è una donna di 29 anni affetta da sindrome di Rokitansky: il trapianto ha successo e, dopo qualche settimana dall’intervento, la donna viene dimessa e può tornare a casa. Ancora una volta la rete trapiantologica nazionale dà prova di grande resilienza e capacità organizzativa.

Ad un anno dal trapianto la giovane paziente inizia a sottoporsi alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA), e al secondo tentativo, a soli due anni dal trapianto, dà alla luce, con un parto cesareo, una bimba che porta il nome della donatrice, e che è il compimento di un percorso disseminato di difficoltà, incertezze, ricerca e cura. Nel frattempo, i chirurghi di Catania nel gennaio 2021 eseguono un secondo trapianto, coronato anche questo da successo, in una paziente che tra qualche settimana inizierà le procedure di PMA.

La storia di una donna curata e di una nuova vita nata sarebbe di per sé sufficiente ad assurgere agli onori della cronaca ed essere raccontata. Ma questa storia è fatta anche di altro, come spesso accadde nella chirurgia dei trapianti: è fatta dell’équipe che da anni si prepara e ha lavorato alla stesura del protocollo sperimentale, del lavoro del CNT e della rete per validare e supportarlo, dei coordinamenti che hanno gestito il processo di donazione e trapianto, della generosità della donatrice, della volontà della ricevente di intraprendere questo percorso.

In questo momento già 7 nuove pazienti sono pronte a ricevere un utero e altre 15 stanno completando l’iter valutativo per l’iscrizione in lista d’attesa. Il CSS ha concesso al centro di Catania una proroga del protocollo sperimentale, al fine di raggiungere la numerosità dei casi inizialmente previsti. Siamo pronti quindi a ripetere anche subito l’esperienza del trapianto, raccogliendo il gesto di generosità di una eventuale nuova donatrice e, auspicabilmente, di fare di quello che oggi è ancora un protocollo sperimentale, un programma nazionale.