Il trapianto di organi al tempo del COVID

Massimo Cardillo

Direttore del Centro Nazionale Trapianti, Roma.

Pervenuto il 18 dicembre 2020.

La diffusione della pandemia da COVID-19 ha cambiato radicalmente la vita di tante persone in tutto il mondo, e, oltre a provocare migliaia di vittime, ha sottoposto i sistemi sanitari ad una pressione organizzativa senza precedenti, quantomeno nella storia recente.

I professionisti sanitari, attivi sul territorio e negli ospedali, si sono trovati ad affrontare una vera emergenza, che ha coinvolto in prima battuta i reparti di terapia intensiva. Sin dalla segnalazione dei primi focolai di infezione nel nord del Paese, la Rete trapiantologica italiana è stata allertata per mettere in atto misure che da un lato potessero garantire il proseguimento delle attività di donazione e trapianto, dall’altro fare in modo che i trapianti fossero eseguiti in sicurezza.

Il 2019 era stato un anno di incremento dell’attività (2766 segnalazioni di potenziali donatori, 1763 donatori effettivi, 3813 trapianti: il secondo miglior anno di sempre per volumi complessivi, con le liste d’attesa in continua riduzione), con un buon aumento anche del numero dei trapianti da vivente; l’effetto della pandemia ha segnato una battuta d’arresto di questa crescita nonostante la robusta e solida tenuta del sistema.

Mentre la curva dell’infezione continuava la sua ascesa esponenziale, si registrava un calo verticale dell’attività donativa e trapiantologica. I dati dei primi due mesi dell’anno avevano fatto registrare una media di 50 segnalazioni di donatori potenziali e 90 trapianti alla settimana: il 15 marzo l’andamento settimanale era precipitato a 36 segnalazioni e 41 trapianti soltanto. Come atteso, la saturazione dei livelli di occupazione dei posti letto nelle terapie intensive da parte dei pazienti affetti da COVID-19 stava precludendo l’accesso alle rianimazioni alle altre tipologie di pazienti, il cui eventuale accertamento di morte encefalica avrebbe lasciato spazio alla possibilità di una donazione a beneficio di chi aspetta un trapianto.

L’impatto nei mesi di picco della prima onda di pandemia è stato importante e ha fatto registrare in Italia un calo delle donazioni e dei trapianti vicino al 40%, con una sospensione dei programmi in alcuni centri e un blocco generalizzato dei programmi di trapianto da donatore vivente. Nonostante questi numeri la Rete italiana ha retto bene soprattutto se confrontiamo con quanto accaduto in altri Paesi, come Francia e Spagna, che hanno avuto, nello stesso periodo, riduzioni doppie.

Alcuni eventi di quel periodo sono stati emblematici per testimoniare la capacità del sistema trapianti nazionale di resistere alla pressione della pandemia e continuare a curare i pazienti, basti pensare al trapianto di polmone eseguito il 21 marzo al Papa Giovanni XXIII di Bergamo, epicentro dell’infezione, e quello al Policlinico di Milano, in un ragazzo di 18 anni con un danno irreversibile dei polmoni provocato proprio dal coronavirus. Sono state affrontate e spesso risolte anche criticità organizzative, come nel caso del trapianto di midollo eseguito al Bambino Gesù di Roma in un bimbo di 2 anni affetto da linfoistiocitosi emofagocitica primaria, con cellule staminali fatte arrivare dalla Turchia con volo dell’Aeronautica Militare in urgenza, che ha superato il blocco delle frontiere.

Davanti alla necessità di contenere il più possibile il calo delle donazioni e il suo effetto drammatico, la Rete nazionale trapianti ha attivato una strategia su tre livelli di intervento: il primo istituzionale e di governance sanitaria, il secondo verso i pazienti, il terzo verso l’opinione pubblica. Tutte le misure intraprese sono state discusse e promosse grazie ad un constante coinvolgimento della Consulta tecnica permanente per i trapianti, l’organo collegiale che opera a supporto del Centro Nazionale Trapianti (CNT), i rappresentanti delle Regioni, e la Direzione generale della prevenzione sanitaria del Ministero della Salute.

La prima misura è stata quella di segnalare alle Regioni la necessità di mantenere l’attività di prelievo e trapianto, in quanto livello essenziale di assistenza, urgente e non differibile, in quanto connessa alla disponibilità di un donatore, condizione per definizione non programmabile. Nello stesso tempo venivano definiti criteri di sicurezza per l’utilizzo dei donatori e per lo screening dei pazienti da avviare al trapianto, e veniva attivato un sistema di monitoraggio dell’impatto dell’infezione sui pazienti in attesa e trapiantati, grazie alla integrazione del sistema informativo dei trapianti (SIT) con i dati della piattaforma COVID dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS).

Per quanto riguarda il secondo livello, con il coinvolgimento dei coordinamenti regionali, dei centri trapianto locali e delle associazioni, sono stati attivati servizi di supporto diretto ai pazienti trapiantati e in lista d’attesa, con l’obiettivo di rispondere ai dubbi più ricorrenti e alle necessità contingenti di una fascia della popolazione oggettivamente più esposta ai rischi connessi alla pandemia.

Infine, c’è stato il terzo livello di azione, quello destinato alla popolazione generale, attraverso i canali di informazione: la struttura di comunicazione istituzionale e di ufficio stampa del CNT si è adoperata per trovare una chiave d’accesso efficace per veicolare messaggi comprensibili ed efficaci, sistematizzando il flusso di informazioni provenienti dalla Rete e canalizzandoli in funzione delle esigenze dei media, e della rete stessa.

Nel frattempo, era importante monitorare l’impatto dell’infezione nei pazienti: il CNT, insieme alle società scientifiche di riferimento e ai nodi della Rete trapiantologica, si è impegnato anche a raccogliere ed analizzare i dati relativi all’impatto dell’infezione COVID-19 sulla popolazione dei pazienti trapiantati e sui pazienti in lista d’attesa.

Grazie ad una proficua collaborazione con il Dipartimento di Malattie Infettive dell’ISS, che ha realizzato il registro dei casi di soggetti COVID positivi su tutto il territorio nazionale, si sono potuti incrociare i dati del registro ISS con quelli del SIT. Siamo stati, così, in grado di costruire un database dei pazienti trapiantati e in attesa di trapianto risultati positivi al test COVID, raccogliere dati di evoluzione ed esito della malattia, e valutare l’impatto dei fattori potenzialmente correlabili all’esito stesso. Dall’elaborazione di questi dati e dalla riflessione sui risultati ottenuti sono scaturite alcune interessanti informazioni, subito condivise con l’intera rete trapiantologica, che sono state oggetto di lavori scientifici pubblicati, di alcuni dei quali abbiamo già dato notizia nel numero scorso.

Uno di questi studi ha evidenziato una possibile correlazione tra la presenza di alcuni antigeni HLA e una maggiore predisposizione sia all’infezione da SARS-CoV-2 che a una sua evoluzione clinica negativa.

Lo studio, realizzato grazie all’impegno del CNT e di tutti i coordinamenti regionali e pubblicato su Transplantation1, ha acquisito i dati sui pazienti positivi al coronavirus presenti al 22 marzo 2020 nel registro di sorveglianza epidemiologica del Dipartimento malattie infettive dell’ISS, e li ha incrociati con i dati del SIT sul profilo genetico di ben 56.304 persone: i quasi 48mila pazienti con un trapianto d’organo funzionante realizzato in Italia dal 2002 a oggi e le oltre 8mila persone in lista d’attesa per un organo. Il match ha permesso di isolare, all’interno dell’intera popolazione italiana dei trapiantati e dei pazienti da trapiantare, 256 casi COVID-positivi e di analizzare nel dettaglio il possibile ruolo giocato nell’infezione da alcune caratteristiche del sistema immunitario come gli antigeni HLA e il gruppo sanguigno, informazioni abitualmente mappate nell’attività clinica trapiantologica.

I risultati hanno evidenziato per la prima volta che la presenza della variante HLA-DRB1*08 nei soggetti analizzati è più frequentemente associata sia ai casi di positività, con un’incidenza all’incirca doppia, sia ai decessi per COVID-19, con una probabilità tre volte maggiore. Lo studio dunque suggerisce come questa particolare variazione genetica, presente nel 6% della popolazione italiana e maggiormente frequente nelle regioni del Nord Italia (9%) rispetto a quelle del Sud (3%), svolgerebbe meno bene di altre varianti HLA il ruolo di attivazione del sistema immunitario nel riconoscimento del coronavirus.

Dalla ricerca arriva anche un’ulteriore conferma che i soggetti con gruppo sanguigno A presentano un rischio di infezione lievemente maggiore rispetto alle persone con gruppo 0, i quali sembrano invece maggiormente protetti dal virus. Questo dato è già stato evidenziato dai risultati di altri lavori effettuati su popolazioni diverse.

Questa ricerca può avere importanti implicazioni nell’identificazione di soggetti a maggior rischio di complicanze, perché geneticamente sono in possesso di armi immunologiche meno efficaci per difendersi dal virus. Le indicazioni possono essere utili sia per il controllo della diffusione della malattia e la gestione della sua prognosi, sia per le strategie di pianificazione delle vaccinazioni, quando queste saranno disponibili.

I dati raccolti dal CNT dall’inizio della pandemia al 22 giugno u.s. dimostrano, inoltre, che l’incidenza cumulativa di infezione negli 8500 pazienti in attesa di trapianto di organo solido nel nostro Paese è pari all’1,85%, cioè più di 4 volte superiore a quella della popolazione generale nello stesso periodo, con un tasso di mortalità vicino al 20%. L’incidenza cumulativa di infezione si abbassa nella popolazione dei trapiantati, nella quale risulta essere pari, nello stesso periodo, a 1,02% ma con un tasso di letalità crudo risultato pari al 27,3%. Questi dati sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista American Journal of Transplantation2. Alla luce di questi dati, che dimostrano la fragilità dei pazienti in attesa di trapianto e, in misura minore, dei trapiantati, rispetto al rischio e alle conseguenze dell’infezione, e in considerazione del fatto che la vaccinazione risulterebbe avere maggiore efficacia nel paziente ancora non sottoposto a terapia immunosoppressiva, il CNT ha chiesto al Comitato Tecnico-Scientifico (CTS) del Ministero della Salute che la popolazione dei pazienti in attesa di trapianto venga inserita tra quelle con accesso prioritario alla somministrazione del vaccino anti-SARS-CoV-2, pur consapevole dei limiti organizzativi che caratterizzano l’applicazione estesa della strategia vaccinale. In aggiunta, nonostante gli studi registrativi abbiano escluso i pazienti immunocompromessi e non esistano pertanto dati di safety e di efficacia in questa popolazione, il CNT ha inoltre suggerito al CTS di considerare la vaccinazione anche dei soggetti trapiantati da almeno 3-6 mesi. In virtù dell’uso diffuso di altre vaccinazioni nei pazienti sottoposti a trapianto di organo solido non ci si aspetta che la sicurezza possa essere diversa da quanto osservato nei pazienti arruolati negli studi registrativi. È noto che i pazienti trapiantati hanno una minore risposta ai vaccini se comparati con i soggetti immunocompetenti ma si ritiene che il potenziale vantaggio offerto dalla vaccinazione superi le preoccupazioni per una ridotta risposta, come peraltro suggerito dal recente documento dell’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC)3. Si raccomanda comunque l’arruolamento dei pazienti trapiantati in specifici trial o quantomeno in un registro dedicato.

Questa richiesta è stata accolta positivamente e inserita nel Piano vaccinale strategico del Ministero della Salute secondo il quale subito dopo il personale sanitario e sociosanitario, gli ospiti delle lungodegenze e le persone con più di 80 anni, sarà il turno di chi soffre di più di una patologia cronica pregressa, come le persone con insufficienza terminale d’organo in attesa di trapianto, e delle persone con immunodeficienza o in trattamento con farmaci immunomodulanti, come i pazienti trapiantati.

Nonostante tutti gli sforzi fatti e le misure prese per contrastare la diffusione del virus, in questa fase finale dell’anno siamo nel pieno della seconda onda della pandemia. È presumibile immaginare che il suo perdurare avrà degli effetti sull’attività trapiantologica, ma le condizioni in cui ci troviamo non sono le stesse della prima ondata: il monitoraggio costante dei dati sui pazienti in attesa di trapianto e dei pazienti trapiantati e le capacità di resilienza e di ricerca della Rete trapiantologica ci permettono, per esempio, oggi di poter utilizzare, in casi selezionati, i donatori positivi al coronavirus. Il CNT ha infatti stilato un protocollo che consente di effettuare trapianti di organi salva vita provenienti da donatori deceduti per altre cause ma risultati positivi al COVID-19. Secondo le linee guida del CNT, i pazienti devono essere in gravi condizioni cliniche, SARS-CoV-2 positivi o con pregressa infezione COVID-19 poi superata, per i quali, a giudizio del team medico responsabile del trapianto, il rischio di morte o di evoluzione di gravi patologie connesse al mantenimento in lista di attesa rende accettabile quello conseguente all’eventuale trasmissione di patologia donatore-ricevente. La Sicilia, il Piemonte ed il Lazio sono le prime regioni ad aver recepito questa indicazione, e ad oggi sono stati già effettuati 8 trapianti di fegato, tutti con esito favorevole. L’importanza scientifica dell’evento è molto rilevante in quanto apre la nuova prospettiva di utilizzare organi prelevati da donatori COVID positivi per pazienti selezionati in lista di attesa.

Accanto a questa novità, continua, in accordo con la Consulta nazionale, la costante ricognizione delle misure regionali intraprese a sostegno dell’attività di donazione e di quelle mirate a garantire la sicurezza dei percorsi dedicati all’assistenza dei pazienti in attesa di trapianto e trapiantati.

L’analisi dei risultati di questa ricognizione sarà di grande utilità per identificare i punti deboli del sistema e mettere a punto strategie di miglioramento, con l’obiettivo di confermare l’attenzione delle Istituzioni sanitarie ai trapianti di organi, tessuti e cellule quale livello essenziale di assistenza, da garantire a tutti i pazienti che ne hanno bisogno.

Bibliografia

1. Amoroso A, Magistroni P, Vespasiano F, et al. HLA and AB0 Polymorphisms May Influence SARS-CoV-2 Infection and COVID-19 Severity. Transplantation 2021; 105: 193-200.

2. Trapani S, Masiero L, Puoti F, et al. Incidence and outcome of SARS-CoV-2 infection on solid organ transplantation recipients: a nationwide population-based study. Am J Transplant 2020; doi: 10.1111/ajt.16428. Epub ahead of print. PMID: 33278850.

3. Coronavirus disease 2019 (COVID-19) and supply of substances of human origin in the EU/EEA - second update.