Donazione e trapianti: la risposta della Rete all’emergenza
del coronavirus

Massimo Cardillo

Direttore del Centro Nazionale Trapianti, Roma.

Pervenuto il 27 luglio 2020.

La sicurezza dei pazienti trapiantati, in attesa di trapianto e quella dei donatori è stata, nel corso della pandemia da coronavirus, al centro del pensiero e degli sforzi di tutti gli operatori della Rete trapiantologica. A partire dalla segnalazione dei primi casi di soggetti positivi in Lombardia e Veneto, la Rete dei trapianti è stata subito messa in allarme, al fine di comprendere rapidamente il potenziale impatto della diffusione del virus sulle attività di donazione e trapianto e sulla sicurezza dei pazienti. Le conoscenze iniziali sul virus COVID-19 erano piuttosto scarse, ma erano evidenti le gravi manifestazioni cliniche della malattia, soprattutto nei soggetti anziani. Vi era il fondato timore che i pazienti trapiantati potessero essere a maggior rischio di infezione a causa dei trattamenti immunosoppressivi e che, a causa di questi trattamenti, il decorso della malattia potesse essere più grave, se fosse stata contratta l’infezione.

Sin dal 3 marzo, il Centro Nazionale Trapianti (CNT) ha emanato misure preventive per garantire la sicurezza dei trapianti di organi, tessuti e cellule e quella delle donazioni sia da cadavere che da vivente, aggiornandole regolarmente nel corso della pandemia da coronavirus con l’aumentare delle conoscenze acquisite sul campo. I donatori e i pazienti destinatari di trapianti di organi, tessuti e cellule sono stati regolarmente sottoposti ai test infettivologici per SARS-CoV-2, finalizzati a minimizzare il rischio di trasmissione del virus con il trapianto, e ad identificare precocemente una possibile infezione nei candidati. Ai pazienti trapiantati e a quelli in lista d’attesa sono state date indicazioni sull’uso dei dispositivi di protezione e sono stati attivati canali di supporto sia diretti, attraverso i centri che hanno in cura i pazienti, sia attraverso le associazioni di settore. È stata anche attivata, su tutto il territorio nazionale, una rete di collaborazione tra i centri trapianto tale da garantire l’accesso alle cure anche ai pazienti afferenti ai centri delle regioni più colpite da COVID-19 dirottandoli verso i centri delle aree meno coinvolte.

Molto presto la Rete ha maturato la consapevolezza che la situazione di emergenza avrebbe avuto un impatto importante sull’attività di donazione, perché le necessità di assistenza intensiva ai pazienti affetti da COVID-19 stavano costringendo molti ospedali, soprattutto nelle regioni più colpite, a modificare in modo rilevante il proprio assetto organizzativo; il CNT ha continuato, per tutto il periodo della pandemia, a tenere i rapporti con il Ministero e con gli Assessorati regionali sottolineando, nelle sedi opportune, la necessità di mantenere attiva l’attività di donazione, perché la donazione degli organi rientra nei livelli essenziali di assistenza e soprattutto perché la possibilità di utilizzo di un potenziale donatore deceduto è un evento che non può essere rimandato ad un tempo successivo.

Le misure adottate hanno permesso, dunque, non solo di continuare l’attività, ma di contenerne la presumibilmente attesa riduzione: infatti, nelle prime quattro settimane di epidemia da COVID-19, l’attività di trapianto ha subito una diminuzione media sul territorio nazionale del 30% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, un risultato che ha risentito del pesante bilancio delle regioni più colpite (Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna) che nello stesso periodo hanno fatto rilevare percentuali di riduzione dell’attività vicine al 70%1. Il dato di riduzione complessiva relativa alla fase più acuta della pandemia (dal 28 febbraio al 10 aprile) si è attestato al 39,7%, comunque migliore del dato degli USA (-51,1%), di quello della Spagna (-75,1%) e della Francia (-90,6%).

Quello che questi numeri non raccontato, tuttavia, è che l’esperienza della pandemia ha segnato tanti operatori sanitari impegnati quotidianamente nelle terapie intensive, che hanno trovato il modo di non abbandonare l’impegno sulla donazione, tra tanti rischi e difficoltà, con situazioni complesse da gestire sul piano delle relazioni con la famiglia del potenziale donatore. È anche grazie a questo costante impegno che, a partire del mese di maggio, i numeri hanno ripreso a risalire e lentamente sono tornati ai valori del periodo pre-COVID: il dato complessivo dei primi 6 mesi dell’anno fa registrare, rispetto al corrispondente periodo del 2019, una diminuzione del 2,9% del numero dei donatori utilizzati e del 0,5% dei trapianti effettuati.

Anche l’attività di donazione e trapianto di CSE è continuata e, nonostante le grandi difficoltà di movimentazione delle cellule donate nell’ambito dell’attività del Registro IBMDR, nel marzo del 2020 (in piena pandemia) ha fatto registrare, rispetto allo stesso periodo del 2019, addirittura un incremento del 20,4% del numero di trapianti, dovuto ad una programmazione fatta nei mesi precedenti, che avrebbe lanciato l’attività di trapianto verso numeri molto alti nel 2020. La pandemia ha successivamente frenato questo slancio: il dato ad aprile 2020 dimostra che l’attività di trapianto è diminuita del 5,4% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, un dato che, tuttavia, evidenzia la tenuta del sistema, pur in un momento critico. È, invece, l’attività di donazione di CSE che desta in questo periodo qualche preoccupazione (i dati al 28 giugno indicano una riduzione dell’attività di donazione di 10 punti percentuali, rispetto allo scorso anno), per la riduzione del numero di nuovi donatori reclutati per il programma coordinato dal Registro italiano IBMDR, motivata principalmente dalla impossibilità di condurre le consuete iniziative di sensibilizzazione e reclutamento “outdoor” da parte delle associazioni e dalle difficoltà di accesso ai centri donatori. Il CNT, insieme alla Commissione CSE, sta già lavorando ad un progetto pilota che modifichi le tradizionali modalità di reclutamento in modo da rilanciare il numero di iscrizioni al Registro.

La pandemia arrivata nel nostro Paese, primo tra quelli occidentali, ha sicuramente messo in difficoltà il sistema ed ha richiesto un enorme impegno, in una situazione stressante, a tanti operatori sanitari. Ad oggi possiamo dire che la risposta è stata di una grande professionalità non solo dal punto di vita clinico, ma anche dal punto di vista della capacità di analisi e produzione di informazioni e di conoscenza fondamentale per il resto della comunità trapiantologica mondiale.

Nel corso di questi mesi, oltre a continuare a lavorare per garantire il governo della rete ed il coordinamento delle attività di donazione e trapianto, il CNT, insieme alle società scientifiche di riferimento ed a molte unità operative della rete trapiantologica, si è impegnato anche a raccogliere ed analizzare i dati relativi all’impatto dell’infezione COVID-19 sulla popolazione dei pazienti trapiantati e sui pazienti in lista d’attesa. Questo è stato possibile grazie ad una proficua collaborazione con il Dipartimento di Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), che ha realizzato il registro dei casi di soggetti COVID positivi su tutto il territorio nazionale. I dati del registro ISS sono stati incrociati con quelli del Sistema Informativo dei Trapianti, ed in questo modo è stato possibile costruire un database dei pazienti trapiantati ed in attesa di trapianto risultati positivi al test COVID, raccogliere dati di evoluzione ed esito della malattia, e valutare l’impatto dei fattori potenzialmente correlabili all’esito stesso. Dall’elaborazione di questi dati e dalla riflessione sui risultati ottenuti, sono scaturite alcune interessanti informazioni, subito condivise con l’intera rete trapiantologica e che sono oggetto di lavori scientifici in corso di pubblicazione2.

Tra i dati analizzati in questo registro, abbiamo voluto valutare l’incidenza cumulativa dell’infezione da SARS-CoV-2 nei pazienti trapiantati nel corso del primo mese dell’epidemia, in modo da avere una misura del rischio di infezione in questa categoria di soggetti, e successivamente di individuarne il rischio di mortalità. I risultati dello studio hanno dimostrato che la coorte dei pazienti trapiantati era a maggior rischio di infezione rispetto alla popolazione generale, con una incidenza cumulativa tre volte superiore a quella stimata per la popolazione italiana. Anche il tasso di mortalità complessiva, nel periodo considerato, era del 30%, significativamente più alto rispetto a quello della popolazione generale (16,8%); questi dati complessivi risentono comunque di fattori che hanno contribuito a determinare un aumento delle percentuali, come il lungo tempo trascorso dall’avvenuto trapianto, la presenza di comorbilità e l’età avanzata dei pazienti. Anche la stratificazione per tipologia di organo trapiantato ha evidenziato differenze, con i pazienti sottoposti a trapianto cardiaco che hanno fatto registrare le percentuali più alte. Dai nostri dati emerge che i pazienti trapiantati di fegato sembrerebbero essere quelli con il minor rischio di infezione e la più bassa mortalità. L’ipotesi più plausibile per spiegare queste differenze tra tipologie di trapianti sta nella differenza di regimi immunosoppressivi a cui sono sottoposti i pazienti con trapianti di organi toracici e addominali. Il ricevente di fegato è soggetto a terapia immunosoppressiva più blanda, ed in più il fegato è dotato di una maggiore capacità di tolleranza immunologica rispetto ad altri organi, grazie anche alla dotazione di specifiche cellule immunocompetenti.

Anche nei pazienti che hanno ricevuto un trapianto di reni, l’infezione da COVID-19 è stata considerata con la massima attenzione, tanto da portare il CNT e le società scientifiche a stilare un guida pratica al trapianto di rene durante la pandemia di COVID-193.

Il contributo scientifico della comunità trapiantologica italiana alla conoscenza delle problematiche poste dalla pandemia COVID-19 è stato davvero considerevole, e sono stati numerosissimi i lavori scientifici prodotti dai centri trapianto, dai gruppi di ricerca e dalle società scientifiche.

In questi mesi, dunque, la rete trapiantologica del nostro Paese ha mostrato una forte capacità di risposta alla sfida della pandemia, in termini di sicurezza, osservazione, monitoraggio, valutazione ed innovazione, prova ne sia la realizzazione a Milano del trapianto di polmone in un paziente affetto da fibrosi polmonare irreversibile conseguente ad una infezione COVID-19, primo intervento nel suo genere in Europa. La realizzazione di questo trapianto ha richiesto, ancora una volta, l’azione congiunta del CNT e di tutta la rete, che si è attivata prontamente in tutte le sue articolazioni, dalla task force di sorveglianza infettivologica fino al sistema di reperimento degli organi.

Le prove a cui la pandemia COVID-19 ci ha sottoposto sono state molte, articolate e ardue; ora parte però una nuova stagione, nella quale le sfide del passato si ripropongono in una veste nuova e più complessa. Al fine di ottimizzare il reperimento dei potenziali donatori, va ripensata l’organizzazione degli ospedali, soprattutto per quello che riguarda i percorsi di gestione clinica del paziente neuroleso fuori dalle terapie intensive, prendendo ad esempio quello che è stato già realizzato nelle regioni più virtuose. E non solo: bisogna ripensare la gestione del percorso di fine vita all’interno delle terapie intensive, definendo i principi ispiratori e le specifiche linee guida insieme alle società scientifiche di riferimento. Dobbiamo anche immaginare percorsi di formazione degli operatori sanitari che prediligano l’utilizzo di modelli interattivi e un potenziamento della formazione a distanza, strutturata in modo da raggiungere un numero sempre più alto di partecipanti, e mirando al contenimento dei costi. Infine, va ripensata la comunicazione ai cittadini, facendo tesoro del grande credito che gli operatori sanitari delle terapie intensive hanno guadagnato nel fronteggiare la pandemia, e puntando alla riduzione del numero delle opposizioni in vita e dei familiari dopo la morte.

Affrontando le nuove sfide con questa consapevolezza, la Rete e il CNT potranno nel prossimo futuro confermare e rilanciare il programma trapianti come un’eccellenza nel panorama del Sistema Sanitario Nazionale.

Per tutto quello che è stato fatto finora, e per quello che potrà essere fatto in futuro, a tutti coloro che fanno parte di questa rete va il mio più grande ringraziamento.

Bibliografia

1. Angelico R, Trapani S, Manzia TM, et al. The COVID-19 outbreak in Italy: initial implications for organ transplantation programs. Am J Transplant 2020; 20: 1780-4.

2. Trapani S, et al. Incidence and outcome of SARS-CoV-2 infection on solid organ transplantation recipients: a nationwide population-based study. Submitted

3. Vistoli F, Furian L, Maggiore U, et al. COVID 19 and Kidney Transplantation: an Italian Survey and Consensus. J Nephrol 2020; 33: 667-80.