ll trapianto di isole pancreatiche in caso di diabete di tipo 1
Intervista a Luciano De Carlis1, Federico Bertuzzi2 e Mario Marazzi3
1. Direttore della Chirurgia Generale e dei Trapianti, 2. Diabetologia; 3. Terapia Tissutale; Ospedale Niguarda, Milano


Lo scorso giugno all’Ospedale Niguarda di Milano un paziente è stato sottoposto ad una innovativa procedura di trapianto per curare il diabete di tipo 1: primo caso in Europa e quarto nel mondo. Si tratta di una tecnica nuova di trapianto di isole pancreatiche sulla membrana che circonda gli organi addominali grazie ad un’impalcatura biotech che ne favorisce l’attecchimento.
L’intervento ha coinvolto l’équipe della Chirurgia Generale e dei Trapianti, quella dell’Anestesia e Rianimazione 2, la Diabetologia, la Nefrologia e la Terapia Tissutale.
Ne abbiamo parlato con alcuni dei protagonisti.


In che cosa consiste esattamente questa nuova tecnica di trapianto di isole pancreatiche e cosa la differenzia da quella “standard”, attuale?
Il trapianto di isole viene comunemente eseguito all’interno della vena porta per mezzo della quale le isole diffondono all’interno del parenchima dove attecchiscono e cominciano a produrre insulina. Questa sede di impianto è stata scelta innanzitutto perché raggiungibile facilmente tramite puntura transepatica in anestesia locale e per l’ampio letto di distribuzione in un organo con doppia vascolarizzazione (portale e arteriosa) che rende difficile la trombosi vascolare e la formazione di aree ischemiche.
Tuttavia si è osservato che il trapianto di isole nel fegato innesca ugualmente la cascata coagulativa con fenomeni microtrombotici e infiammatori che portano alla perdita di circa il 50% del tessuto trapiantato. Inoltre è spesso difficile seguire il destino delle isole disperse all’interno del fegato. Per migliorare l’attecchimento delle isole sono stati ricercati altri siti di impianto come il midollo osseo, il muscolo e l’omento. In particolare l’omento presenta alcuni vantaggi: ha una superficie ampia per il possibile impianto, è ben vascolarizzato, permette di identificare esattamente la posizione delle isole una volta trapiantate, evita l’innesco della cascata coagulativa.
Nel nostro paziente le isole sono state impiantate proprio sull’omento in laparoscopia e fatte aderire alla membrana omentale grazie ad un complesso fibrina e trombina.
 
Quali i vantaggi, l’efficacia e – se vi sono – però anche le criticità? La si può considerare “la” cura per il diabete di tipo 1?
Un primo vantaggio è quello di evitare l’innesco dei fenomeni trombotici e quindi di favorire l’attecchimento delle isole. Il più grande vantaggio però è quello di avere ora a disposizione una ampia superficie per poter impiantare non solo le isole ma anche in futuro eventuali sistemi cellulari o dispositivi in grado di immunomodulare o comunque di proteggere dal rigetto le isole (microcapsule, cellule staminali, linfociti T regolatori) con l’obiettivo di ridurre o evitare la immunosoppressione sistemica.
Le criticità sono rappresentate dalla necessità di una anestesia generale del ricevente per via dell’intervento in laparoscopia e dalla necessaria standardizzazione di una procedura ancora nuova i cui risultati devono comunque essere confermati in un numero maggiore di pazienti.  
Definire questa procedura la cura del diabete di tipo 1 è ambizioso e per ora non giustificato, certamente rappresenta un passo avanti verso la cura.
 
Rispetto alla procedura sperimentale messa a punto dal Diabetes Research Institute di Miami, durante l’intervento al Niguarda sono stati compiuti step diversi o ulteriori? Come si è applicata quella procedura?
Per ora la procedura utilizzata ha seguito fedelmente il protocollo messo a punto da Miami con la sola eccezione di utilizzare reagenti e farmaci disponibili in Europa che spesso non coincidono con quelli disponibili sul mercato americano (ad esempio la trombina, ricombinante negli Usa e umana in Europa).




Quali sono le prospettive di applicazione future (in riferimento anche a quanto avviene per la sede intraepatica)?
L’indicazione al trapianto di isole nell’omento rimane per ora una opzione nel nostro Ospedale per quei pazienti in cui è controindicata la procedura standard di trapianto di isole intraepatico in attesa di aver dati consistenti che confermino risultati migliori rispetto alla sede intra epatica standard. Nello stesso tempo siamo inseriti in un progetto Europeo finanziato dalla UE tramite i fondi Horizon 2020 (progetto DRIVE) che prevede proprio l’identificazione e messa a punto di strategie atte ad ottenere nel trapianto di isole una immunoprotezione locale evitando la terapia immunosoppressiva sistemica. Da questo studio ci aspettiamo l’identificazione di strategie future per un protocollo clinico in cui ridurre o addirittura togliere la necessità della terapia immunosoppressiva.

Infine, il trapianto realizzato al Niguarda è il primo caso in Europa e il quarto nel mondo: come è stato selezionato il candidato al trapianto e quali sono le attuali condizioni del paziente?
Nel nostro paziente era controindicato il trapianto di isole intraepatico: il paziente era affetto da diabete instabile con ipoglicemie non avvertite che lo mettevano a rischio di gravi complicanze. Aveva un fabbisogno giornaliero circa di 70u di insulina. Il paziente ora sta bene, da un mese non ha più necessità di terapia insulinica e solo da pochi giorni ci ha confidato di avere ripreso a dormire senza svegliarsi di frequente perché non più a rischio di ipoglicemie notturne.