Sessioni tematiche

IL PUNTO SUL TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE
tema 1
il trapianto aploidentico in italia
Il trapianto di cellule staminali emopoietiche (CSE)
Francesca Bonifazi
Presidente del Gruppo Italiano Trapianto di Midollo Osseo
e Terapia Cellulare (GITMO)
francesca.bonifazi@unibo.it

Il trapianto di cellule staminali emopoietiche (CSE) rappresenta una importante possibilità di cura e talora di guarigione per molte malattie ematologiche, oncologiche e non. Il Gruppo Italiano per il Trapianto di Midollo Osseo e terapia cellulare (GITMO) è l’unica Società Scientifica che rappresenta in Italia questo tipo di trapianto. In Italia nel 2014 sono stati eseguiti più di 3000 trapianti autologhi e più di 1700 trapianti allogenici, cioè da donatore (figura 1). Il donatore di CSE può essere un familiare HLA (Human leukocyte antigen) compatibile oppure un donatore non familiare, cercato quindi in un pool di donatori mondiale che ha quasi raggiunto 26 milioni di unità. Negli ultimi anni anche un familiare con importanti differenze HLA (aploidentico) è divenuto un donatore utilizzato quasi nel 30% dell’attività trapiantologica allogenica italiana totale (figura 2). I donatori possono donare le CSE da midollo osseo o da sangue periferico dopo mobilizzazione con il fattore di crescita granulocitario. L’utilizzo del cordone ombelicale come sorgente di cellule staminali a scopo di trapianto è divenuto in Italia estremamente raro (<50 trapianti per anno). Una recente survey sull’attività trapiantologica europea 1 ha mostrato la peculiarità italiana nella prevalenza del trapianto aploidentico: altri Paesi europei hanno un pattern di trapianto per tipo di donatore estremamente diverso da quello italiano, prevalendo ancora le forme da donatore HLA identico e soprattutto non familiare da registro internazionale di donatori volontari. Varie possono essere le cause del discostamento italiano, quali l’avere un limite di accesso al registro per trapianti da donatore non familiare, l’utilizzo del donatore aploidentico da parte di centri prestigiosi con effetto di trascinamento, la rapidità del recupero emopoietico che può anticipare la dimissione di qualche giorno, con la conseguente riduzione della degenza media per trapianto allogenico. Questo ultimo punto assume in questi anni una importanza non indifferente rappresentando spesso un indicatore sul quale discutere il budget con le direzioni ospedaliere. Ancora oggi, come evidenziato da un’analisi del costi del trapianto allogenico di CSE fatto in territorio olandese, sul reale costo del trapianto, la degenza rimane ancora la spesa principale 2. La riduzione di utilizzo del cordone ombelicale è fenomeno che si apprezza a livello internazionale, ma che in Italia ha avuto una magnitudine maggiore rispetto agli altri Paesi. Le analisi retrospettive pubblicate non dimostrano una inferiorità del cordone rispetto ad altri tipi di trapianto, comprese alcune molto recenti, sull’attività europea3. La comunità scientifica si interroga sull’appropriatezza di questo comportamento ed è preoccupata della ripercussione che questa scelta può avere nel dirigere o meno le risorse verso la criopreservazione del cordone ombelicale. Rispetto al trapianto di organo solido, il trapianto di CSE mostra ancora un pattern di crescita costante nel tempo: il limite, con cui il trapianto di CSE oramai 60 anni fa è partito e cioè la mancanza del donatore che deve essere HLA matched, si è quasi risolto e per l’80-90% dei pazienti che ne abbiano l’indicazione oggi si è in grado di trovare il donatore. L’Italia ha dato un grosso contributo allo sviluppo del trapianto aploidentico: dagli anni pionieristici del trapianto T depleto sviluppato e perfezionato a Perugia 4 alla evoluzione odierna anche in campo pediatrico5 all’elaborazione6-8 o utilizzo di piattaforme T replete che hanno consentito l’utilizzo di questo tipo di trapianto a largo raggio. Un punto su cui oggi la comunità scientifica è chiamata a dare risposte è la definizione della gerarchia con cui scegliere il migliore donatore e con che tempi. Se è vero che l’Italia ha un transplant rate che è superiore alla mediana del valore europeo, rimane tuttavia vero come ancora una parte di pazienti non riesca ancora a poter accedere a questa procedura: non esiste un benchmark certo su ciò che deve essere il rate di trapianto per essere ottimale perché difficilmente calcolabile: ciò che ancora dopo decenni affligge la comunità trapiantologica ed ematologica è la estrema difficoltà di produrre studi per patologia (quindi leucemia acuta, linfomi, ecc.) ove il trapianto faccia parte della strategia trapiantologica globale da cui poter derivare dati di outcome su un denominatore ampio, rappresentato da tutti colori che avrebbero bisogno del trapianto, ma che per vari motivi non vi arrivano.



Infine, negli ultimi 20 anni i dati di letteratura del trapianto allogenico hanno mostrato un miglioramento significativo dell’outcome per la riduzione della mortalità da trapianto, grazie ad un miglioramento del supportive care, della mortalità infettiva, all’impiego di terapie con ridotta tossicità o intensità, secondo una stratificazione dei pazienti in funzione del rischio trapiantologico (comorbilità presenti, caratteristiche del donatore, ecc.). L’attenzione ai dati di outcome è un interesse primario della comunità scientifica che cerca costantemente di migliorare la cura dei pazienti.

Ringrazimenti
Si ringraziano la dr.ssa Barbara Bruno e la dr.ssa Rita Bertoni
per il supporto tecnico, amministrativo e di data-reporting.

Bibliografia
1. Passweg JR, Baldomero H, Bader P, et al. Hematopoietic SCT in Europe 2013: recent trends in the use of alternative donors showing more haploidentical donors but fewer cord blood transplants. Bone Marrow Transplant 2015; 50: 476-82.
2. Blommestein HM, Verelst SG, Huijgens PC, et al. Real-world costs of autologous and allogeneic stem cell transplantations for haematological diseases: a multicentre study. Ann Hematol 2012; 91: 1945-52.
3. Ruggeri A, Labopin M, Sanz G, et al. Comparison of outcomes after unrelated cord blood and unmanipulated haploidentical stem cell transplantation in adults with acute leukemia. Leukemia 2015; 29: 1891-900.
4. Martelli MF, Di Ianni M, Ruggeri L, et al. HLA-haploidentical transplantation with regulatory and conventional T-cell adoptive immunotherapy prevents acute leukemia relapse. Blood 2014; 124: 638-44
5. Bertaina A, Merli P, Rutella S, et al. HLA-haploidentical stem cell transplantation after removal of αβ+ T and B cells in children with nonmalignant disorders. Blood 2014; 124: 822-6.
6. Peccatori J, Forcina A, Clerici D, et al. Sirolimus-based graft-versus-host disease prophylaxis promotes the in vivo expansion of regulatory T cells and permits peripheral blood stem cell transplantation from haploidentical donors. Leukemia 2015; 29: 396-405.
7. Raiola AM, Dominietto A, Ghiso A, et al. Unmanipulated haploidentical bone marrow transplantation and posttransplantation cyclophosphamide for hematologic malignancies after myeloablative conditioning. Biol Blood Marrow Transplant 2013; 19: 117-22.
8. Di Bartolomeo P, Santarone S, De Angelis G, et al. Haploidentical, unmanipulated, G-CSF-primed bone marrow transplantation for patients with high-risk hematologic malignancies. Blood 2013; 121: 849-57.




Piattaforme per trapianto aploidentico
Andrea Bacigalupo
Istituto di Ematologia, Fondazione Policlinico Universitario Gemelli, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
apbacigalupo@yahoo.com

Vi sono due piattaforme per trapianto da familare HLA aploidentico (APLO): una utilizza T deplezione (TCD) e l’altra utilizza cellule non manipulate.

Trapianto APLO TCD
Il Gruppo di Perugia ha sviluppato negli ultimi 20 anni diversi protocolli di trapianto APLO TCD: in un primo tempo venivano impiegate metodiche di rimozione dei linfociti T (rosette E); a questa è seguita una fase di selezioni positive delle cellule staminali (selezione cellule CD34+) e infine ultimamente alla selezione delle CD34+ è stata affiancata la infusione di cellule T regolatorie (Treg) e cellule T convenzionali (T con). In particolare quest’ultimo protocollo si è dimostrato molto efficace nel controllo della leucemia, con una probabilità di recidiva post-trapianto vicina a zero, possibilmente legata ad un traffico differenziato dei linfociti Tcon e Treg. I linfociti Tcon migrerebbero preferenzialmente nel midollo osseo, dove esercitano la loro attività anti-leucemica (GvL), mentre i linfociti Treg hanno un preferenziale homing nei linfonodi, dove esercitano un’azione di protezione dalla malattia trapianto contro ospite (GvHD).
Una modifica ulteriore del trapianto APLO TCD è la rimozione parziale di linfociti, ovvero solo della sottopopolazione T α/β e delle cellule B CD19+: questa metodica è stata impiegata con successo sia in età pediatrica sia nell’adulto.

Trapianto APLO T repleto o non manipolato
Negli ultimi 10 anni si sono sviluppate due piattaforme per trapianto APLO T repleto: la prima è basata su globulina antilinfocitaria (ATG), la seconda sulla ciclofosfamide alta dose post-trapianto (PT-CY). La prima utilizza diversi farmaci immunosoppressori, e precisamente ATG, ciclosporina, micofenolato, methotrextae-, è stata sviluppata a Pechino, ed è stata utilizzata in migliaia di pazienti in Cina: il protocollo è stato modificato con utilizzo di ATG e basiliximab, ed utilizzato anche in Italia dal gruppo di Roma-Pescara, con risultati molto incoraggianti sia come fattibilità che come sopravvivenza libera da malattia
La seconda, con PT-CY, sviluppata a Baltimore, si basa sulla possibilità di eliminare solo le cellule T alloreattive: infatti l’infusione di linfociti incompatibili al giorno 0 porta a proliferazione della sottopopolazione T alloreattiva, che dopo 72 ore viene eliminata dalla prima infusione di ciclofosfamide, mentre le cellule T non alloreattive non proliferano, quindi non sono in fase S dopo 72 ore, e quindi non vengono eliminate dalla ciclofosfamide. Le cellule T che superano la lisi da ciclofosfamide contribuiscono al recupero immunologico, cruciale per ridurre le complicazioni infettive post-trapianto. Per profilassi della GvHD la PT-CY viene combinata con un inibitore della calcineurina (ciclosporina o tacrolimus) e micofenolato: questa piattafoprma APLO PT-CY è forse la più diffusa per vari motivi, quali il basso costo, l’assenza di particolare supporto tecnologico.

Confronto fra trapianti APLO e trapianti da donatori non consanguinei (UD)
Il confronto retrospettivo fra trapianti APLO e trapianti UD evidenzia risultati sovrapponibili per quanto concerne la sopravvivenza e la sopravvivenza libera da malattia: sembra esserci una riduzione della GvHD cronica nei trapianti APLO. In particolare uno studio del registro CIBMTR, in pazienti con leucemia mieloide acuta (AML), ha confrontato trapianti APLO con PT-CY a trapianti UD compatibili (identità allelica 10/10): la sopravvivenza è risultata identica.
Anche se ad oggi mancano studi di confronto prospettici, però possiamo già dire che, in assenza di una donatore familiare HLA compatibile giovane, e in assenza di un donatore UD completamente compatibile (10/10), la scelta di un trapianto APLO, da utilizzare con una delle molte piattaforme disponibili, è ampiamente giustificata.




tema 2
la rete metropolitana: un nuovo modello per i programmi trapianto di cse?
Rome Transplant Network, la rete metropolitana accreditata JACIE:
un nuovo modello per i programmi di trapianto di cellule staminali ematopoietiche
William Arcese1, Alessandra Picardi1, Alessandro Lanti1,
Franco Locatelli
2, Paolo De Fabritiis3, Teresa Dentamaro3,
Giuseppe Avvisati
4, Maria Cristina Tirindelli4,
Andrea Mengarelli
5, Elena Papa5, Agostino Tafuri6,
Antonella Ferrari
6, Anna Chierichini7, Barbara Anaclerico7,
Maria Rita Mauroni
1, Sonia Soave1, Francesco Trenta1,
Veronica Molinari
1, Fabio Di Piazza1, Ilaria Mangione1,
Jonny Di Giandomenico
1, Cristina Papa1, Silvia Miccichè1
1. Policlinico Universitario “Tor Vergata”, Roma
2. Ospedale Bambino Gesù, Roma
3. Ospedale Sant’Eugenio, Roma
4. Università Campus Biomedico, Roma
5. Istituto Regina Elena, Roma
6. Ospedale Sant’Andrea, Roma
7. Ospedale San Giovanni-Addolorata, Roma
william.arcese@uniroma2.it

Premessa
A seguito del documento approvato nell’Accordo Stato-Regioni e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 30 settembre 2003 con il titolo: “Linee Guida per la Raccolta, Manipolazione ed Applicazione Clinica delle Cellule Staminali Ematopoietiche”, la Regione Lazio, come le altre Regioni italiane, ha inviato alle Aziende Ospedaliere e ai Policlinici Universitari la Direttiva regionale del 09.06.2004, prot. n. 5057, in tema di impiego di cellule staminali emopoietiche, DGR n.245 del 02.04.2004.
In accordo con quanto stabilito nelle Linee Guida, l’attività trapianto di CSE è regolata all’interno di un più generale Programma Unico di Trapianto che include tre principali componenti:
1. unità clinica;
2. unità di raccolta cellulare;
3. unità di manipolazione cellulare.

Il programma trapianto è coordinato da un unico Direttore, responsabile dei protocolli operativi e della loro validazione, della certificazione di qualità delle procedure e relativi controlli, dei programmi trapianto logici ed infine della formazione continua del personale addetto.
Il Programma Unico di Trapianto, corrispondendo alle applicazioni previste nei programmi di accreditamento e qualificazione internazionali (FACT-JACIE), ai quali il documento delle Linee Guida fa espresso riferimento, è esteso a più Centri appartenenti alla stessa area metropolitana.
È oggi necessario che l’intero settore del trapianto di cellule staminali ematopoietiche sia organizzato, gestito e, più generalmente, pensato in termini innovativi che tengano conto non solo dei continui progressi clinici, scientifici e tecnologici, ma anche delle esigenze poste da una politica sanitaria che, mentre offre eccellenza nell’assistenza, sa anche considerare costi ed economie nella gestione della salute come bene pubblico. Su queste generali considerazioni è stato basato il presente progetto, che si è proposto di sviluppare, in accordo con le direttive internazionali FACT-JACIE, un avanzato sistema di cooperazione, denominato “Rome Transplant Network” (RTN), tra i Centri di Ematologia dell’area metropolitana coinvolti nell’attività di trapianto di cellule staminali ematopoietiche. Il Programma Trapianti Metropolitano è stato costituito nel dicembre 2006 con l’adesione dei seguenti Centri:
1. Policlinico Universitario “Tor Vergata”
2. Ospedale Bambino Gesù
3. Ospedale Sant’Eugenio
4. Università Campus Biomedico
5. Istituto Nazionale Tumori (INT) IFO - Regina Elena
6. Ospedale Universitario Sant’Andrea
7. Ospedale San Giovanni-Addolorata.




Per la sua realizzazione il Progetto è stato supportato dall’”Agenzia Regionale del Lazio per i Trapianti e le Patologie Connesse” tramite convenzione stipulata nel novembre 2007 e rinnovata nel 2009 con l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Dipartimento di Biopatologia e Diagnostica per Immagini.

Obiettivi del progetto
Con la costituzione del RTN ci si propone di conseguire i seguenti obiettivi principali:
1. Condividere da parte dei Centri Trapianto costituenti il RTN tutti i processi, le procedure e i protocolli clinici e di ricerca relativi all’attività trapianto.
2. Conseguire, estendere progressivamente a tutti i Centri e certificare un Sistema della Qualità per la gestione di processi, procedure e protocolli secondo i criteri internazionali ISO-9001:2000 e quelli stabiliti dal JACIE (Joint Accreditation Committee ISH-EBMT).
3. Uniformare e mantenere, per il personale medico ed infermieristico impiegato nei diversi Centri aderenti al RTN, un costante e coordinato programma annuale di educazione e di formazione sanitaria, strutturato secondo i criteri ministeriali dell’ECM, inerente il campo specifico del trapianto di CSE.
4. Stabilire nell’ambito del RTN un unico data base dei pazienti trapiantati, che possa costituire casistica sufficientemente ampia ed uniforme, per criteri di selezione e trattamento, alla quale poter fare riferimento per ogni eventuale progetto di studio.
5. Realizzare, nel complesso campo del trapianto di CSE, un originale e virtuoso sistema di collaborazione multicentrica cittadina che possa anche valere per altri settori clinici quale modello di cooperazione sanitaria ad estensione metropolitana.

La comunità di riferimento
La comunità di riferimento è costituita principalmente dai pazienti ematologici che per patologia e condizioni cliniche generali risultino eleggibili per essere sottoposti a procedure di trapianto di CSE.
È altresì da considerare comunità di riferimento tutto il personale medico, infermieristico e di laboratorio coinvolto nel settore del trapianto.
In termini quantitativi, il numero di utenti è prevedibile nell’ordine di 800-1000 pazienti, che in un anno, per ragioni cliniche suscettibili di indicazione trapiantologica, afferiranno ai Centri aderenti al RTN e di 100-120 unità per quanto riguarda il personale medico-infermieristico coinvolto nel programma di formazione medica continua (ECM).

Benefici per la comunità di riferimento
Questi sono rappresentati principalmente da:
1. sicurezza per i pazienti di procedere nel proprio percorso diagnostico-terapeutico secondo parametri di affidabilità, garantita da una certificazione di qualità internazionalmente riconosciuta, e di incontrare uniformità di gestione nei diversi Centri aderenti al RTN.
2. Mantenimento di un elevato livello di competenza clinico-scientifica nell’ambito del personale medico-infermieristico.
3. Economia della spesa sanitaria regionale per standardizzazione e centralizzazione coordinata delle procedure diagnostiche e terapeutiche.

La struttura RTN
La struttura RTN è su 3 livelli:
1. il Direttore, responsabile dell’intero Programma Trapianto Metropolitano, affiancato dallo staff dell’Ufficio Gestione Qualità e del Data Center;
2. i Board, formati dai Direttori di ogni Unità Clinica, di Raccolta e di Manipolazione cellulare e dai responsabili dei rispettivi staff infermieristici; tali entità hanno il compito di approvare la documentazione e di garantire il rispetto degli standard di qualità ad essa correlati in ogni facility, di condividere e sviluppare protocolli clinici e di valutare il personale e il livello di formazione continua dello stesso;
3. il personale medico, biologo e infermieristico coinvolto in ogni singola unità.

La documentazione RTN riflette la complessità del network. Esistono infatti 2 tipologie di documenti: a) quelli creati “ex novo” dai Board e b) quelli già esistenti all’interno delle singole unità e che pertanto dovranno essere validati dai rispettivi Board.
La Piattaforma Informatica legata al web gioca un ruolo cruciale nella complessità dell’RTN ai fini di una razionalizzazione delle attività e della gestione dell’informazione. In particolare, 2 software sono stati implementati: uno per garantire la rintracciabilità del prodotto cellulare in tutte le fasi del processo e l’altro per la condivisione della documentazione tra tutte le unità afferenti all’RTN, per la gestione di un unico database contenente tutti i pazienti trapiantati e per il monitoraggio degli studi clinici.

Obiettivi realizzati
L’RTN, modello unico nel panorama internazionale, consiste nella messa in rete, secondo un sistema di cooperazione clinico-scientifica e di interscambio informatico-organizzativo, delle Unità Cliniche, dei Centri Prelievo e dei Centri di Manipolazione Cellulare dell’area romana aderenti al Programma Unico Trapianti di Cellule Staminali Ematopoietiche (CSE), coordinato dal Centro Trapianti del PTV. In accordo con i parametri JACIE, Direttore unico del progetto e del programma trapianto è il Prof. William Arcese.

In sintesi, gli obiettivi ad oggi raggiunti sono i seguenti:
1. Costituzione di file unico di registrazione dei pazienti trapiantati, che sono progressivamente incrementati, raggiungendo per i soli pazienti adulti il numero di 181 nel 2014, risultando come attività di gran lunga il primo Programma Trapianto in Italia e tra i primi nell’ambito dell’EBMT (European Blood and Marrow Transplant Group) al quale aderiscono circa 600 Centri.
2. Registrazione al Gruppo Italiano Trapianto Midollo Osseo (GITMO), all’European Blood and Marrow Transplant Group (EBMT) e all’International Bone Marrow Transplant Registry (IBMTR-USA) come programma trapianto RTN con CIC 756, Teams 1-6.
3. Assunzione a contratto ed organizzazione dell’organico dedicato all’RTN (Data Center), per registrazione dati, funzionamento e monitoraggio del sistema di controllo delle procedure e della qualità.
4. Realizzazione di due piattaforme informatiche:
• un sito web RTN dedicato all’informazione pubblica generale e attivo, nella sua parte riservata, come sistema informatico di comunicazione e computerizzazione del data base comune a tutti i Centri aderenti all’RTN;
• un programma informatico dedicato al controllo e alla tracciabilità di tutte le unità di cellule staminali ematopoietiche (midollo, sangue periferico, sangue cordonale), raccolte localmente o provenienti da altri Centri nazionali ed esteri ai fini del trapianto.
5. Attivazione del programma ECM di formazione medico-infermieristica multicentrica nel campo della trapiantologia con 6 Corsi di Formazione già realizzati e produzione, di un CD didattico in cui sono state raccolte tutte le presentazioni, costituendo in tal modo un completo ed organico strumento di informazione e diffusione.
6. Progettazione, pianificazione ed elaborazione del modello RTN ai fini dell’accreditamento JACIE tramite consulenza esterna specialistica: audit e monitoraggio delle unità cliniche, di prelievo e di manipolazione cellulare partecipanti al programma trapianto; elaborazione delle procedure gestionali per la qualità ed elaborazione delle procedure operative standard e dei protocolli.
7. Delibere da parte delle singole Istituzioni partecipanti per approvazione di adesione organica e riconoscimento dell’Unità Trapianto Cellule Staminali del Policlinico Tor Vergata come Centro Coordinatore del Programma Trapianto Metropolitano RTN e il Prof. William Arcese come Direttore unico.
8. Delibera di riconoscimento di costituzione dell’RTN e delle funzioni di coordinamento del Programma Metropolitano da parte della Fondazione Policlinico Tor Vergata.
9. Riconoscimento del Programma Trapianto “Rome Transplant Network” da parte del Centro Regionale Trapianti.
10. Conseguimento delle certificazioni di accreditamento e qualità da parte del Centro Nazionale Trapianti (CNT) e del Centro Nazionale Sangue (CNS).
11. Conseguimento della certificazione di accreditamento e qualità da parte del Joint Accreditation Commettee ISH-EBMT (JACIE).

Perché il progetto RTN, dopo gli investimenti di persone e mezzi richiesti e i positivi obiettivi raggiunti, possa essere ulteriormente sviluppato, mantenga il livello di qualità ed operatività raggiunto ed accresca le sue potenzialità necessita di:
• mantenimento del livello di qualità raggiunto tramite regolare monitoraggio interno e di terza parte;
• continuità e aggiornamento dei processi di formazione clinico-scientifica del personale medico-infermieristico.
• integrazione ed espansione funzionale del sito web RTN e della piattaforma informatica per la tracciabilità e il monitoraggio dei prodotti ematici distribuiti sulla rete e impiegati specificatamente per trapianto: cellule staminali midollari, periferiche e cordonali, da donatori allogenici o autologhi, da donatori familiari o non correlati, linfociti, cellule mesenchimali, ecc.;
• ulteriore implementazione con l’obiettivo di condurre al raggiungimento dell’accreditamento JACIE altre 9 unità cliniche, di prelievo e di manipolazione, che, pur partecipando e condividendo l’attività dell’RTN, sono in corso di acquisizione dei requisiti necessari per essere sottoposti all’audit per l’accreditamento di qualità JACIE;
• standardizzazione progressiva di tutte le procedure cliniche in termini di uniformità dei protocolli terapeutici e di profilassi; promozione della ricerca clinica e di laboratorio basata sui presupposti già acquisiti di uniformità operativa, qualità e numerosità dei pazienti; estensione della capacità di registrazione, di monitoraggio degli studi e della elaborazione delle analisi statistiche con il potenziamento del Data Center centralizzato già attivo.




L’esperienza del network torinese
Franca Fagioli1*, Elena Vassallo1, Massimo Berger1,
Silvia Scarrone
1, Alessandra Mandese1, Mauro Pagliarino1,
Roberto Albiani
1, Luigina Fazio1, Massimo Aglietta2,
Fabrizio Carnevale-Schianca
2, Daniela Caravelli2,
Angela Albanese
2, Alessandra Polo2, Giuseppe Saglio3,
Daniela Cilloni
3, Marco De Gobbi3, Paolo Nicoli3,
Salvatore Caspanello
3, Piero Ottone3, Tiziana Beltramo3,
Ivana Ferrero
1
1. Ospedale Infantile Regina Margherita, AOU Città della Salute e della
Scienza di Torino, * Direttore Centro Trapianti Metropolitano Torino,
Direttore SC Oncoematologia Pediatrica e Centro Trapianti,
2. Fondazione del Piemonte per l’Oncologia, IRCCS Candiolo (TO)
3. AOU San Luigi Gonzaga, Orbassano (TO)
franca.fagioli@unito.it 

Nell’ottobre 2010 è stata definita la costituzione del Centro Trapianti Metropolitano di Torino (CTMT), avente come Centro Coordinatore il Centro Trapianti dell’Ospedale Infantile Regina Margherita (OIRM) (Programma clinico pediatrico), a cui afferiscono funzionalmente i Centri Trapianto della Fondazione del Piemonte per l’Oncologia (FPO) di Candiolo (Programma clinico adulti) e dell’Ospedale San Luigi di Orbassano (Programma clinico adulti). La costituzione del Centro ha ottenuto parere favorevole dal Centro Nazionale Trapianti, dal Centro Regionale Trapianti, dal Gruppo Italiano Trapianto di Midollo Osseo Cellule Staminali Emopoietiche e Terapia Cellulare (GITMO), dal Gruppo Europeo Trapianto di Midollo Osseo (EBMT).
Il CTMT è stato istituito allo scopo di ottimizzare e integrare la gestione delle risorse strutturali, cliniche e di laboratorio disponibili e di implementare la formazione e l’aggiornamento delle risorse umane necessarie per l’espletamento e lo sviluppo dell’attività di Trapianto di Cellule Staminali Ematopoietiche.
A luglio 2013 il CTMT ha ottenuto l’accreditamento JACIE (Joint Accreditation Committee of ISCT&EBMT), organizzazione europea di accreditamento all’eccellenza dei Programmi Trapianto, i cui standard relativi alla raccolta, manipolazione e infusione di cellule staminali ematopoietiche (CSE) rappresentano un punto di riferimento anche per gli Enti regolatori. Ad aprile 2014 è stato raggiunto anche l’Accreditamento CNT/CNS (Centro Nazionale Trapianti/ Centro Nazionale Sangue).
Il Centro Trapianti dell’OIRM opera all’interno della SC Oncoematologia e Centro Trapianti ed è operativo dal 1989. Al 2014 ha effettuato 979 trapianti di cellule staminali emopoietiche, di cui 533 allotrapianti e 446 autotrapianti. Il Centro Trapianti afferente alla Divisione di Oncologia Medica della FPO di Candiolo è operativo dal 2000. Al 31/12/2014 sono stati eseguiti 264 autotrapianti e 108 allotrapianti, dei quali 22 MUD. Il Centro Trapianti del S. Luigi opera all’interno della Divisione di Ematologia II è operativo dal 1998, avendo effettuato 617 trapianti di cellule staminali ematopoietiche, di cui 533 autologi e 71 da donatori. Nell’ambito del programma metropolitano, nel corso dell’anno 2014 sono stati eseguiti 114 trapianti di cellule staminali ematopoietiche, di cui 60 allogenici e 54 autologi.
Il CTMT riconosce il suo valore nell’interdisciplinarietà e multidisciplinarietà degli attori coinvolti nelle diverse fasi del “percorso trapianto”, al fine di garantire, al paziente e al donatore, attività di eccellenza nell’ambito di prestazioni sanitarie ad elevata complessità. Inoltre favorisce lo scambio di conoscenze scientifiche ed esperienze professionali per quanto attiene le attività cliniche e di ricerca, condividendo le risorse disponibili e attuando le politiche della qualità. All’interno dei programmi locali sono mantenute le responsabilità definite dai piani aziendali, in relazione alle strutture di riferimento, caratterizzate dall’omogeneità delle attività e delle risorse umane e tecnologiche impiegate. All’interno del programma metropolitano, la responsabilità della Direzione di programma è di tipo funzionale, in relazione ad unità operative non omogenee, interdisciplinari, al fine di realizzare obiettivi di rilevanza strategica. L’attività del CTMT è stata coordinata negli incontri mensili del Quality Team, gruppo che include diverse figure professionali, comprendenti anche i Direttori di Unità, i Coordinatori Infermieristici, i Quality Manager e i Data Manager. Nel corso di tali momenti sono stati valutati gli obiettivi e gli indicatori di processo definiti, pianificate le attività di formazione e di monitoraggio, condivisi documenti e procedure. Sono stati inoltre istituiti gruppi di lavori specifici per le tematiche trasversali, in cui sono state discusse problematiche cliniche, di selezione e reclutamento dei donatori da registro, di condivisione dei dati del CTMT ai registri nazionali ed internazionali, immunotrasfusionali e relative ai prodotti cellulari. Per le attività critiche di laboratorio sono stati condotti studi di validazione al fine di ottimizzare le performances. Sono stati condotti audit interni per il monitoraggio delle attività, sia per ciascun programma locale che a livello trasversale. Sono stati inoltre istituiti percorsi formativi specifici sugli item del percorso trapianto come richiesto dagli standard. Il Centro Coordinatore OIRM è centro referente per le ricerche da donatore volontario dei 3 Programmi, collabora con l’IBMDR e gestisce l’accettazione e il rilascio dei prodotti ad uso trapianto. A questo proposito sono stati validati i percorsi e le procedure in modo trasversale, e sono in condivisione documenti e dati di engraftment. In base alle indicazioni per patologia, la procedura di apertura di una ricerca di donatore può essere applicata in parallelo nell’ambito dei donatori volontari da Registro e da banche di sangue cordonale, riservando la selezione finale del donatore alla valutazione di vari aspetti quali la patologia di base del ricevente, l’urgenza del trapianto in relazione allo stato di malattia, la compatibilità, il sesso del donatore, il gruppo sanguigno ed altri criteri minori.
Gli obiettivi del Programma Metropolitano sono assicurare la qualità clinica, di raccolta e di processazione delle procedure trapiantologiche e garantirne l’efficienza e l’efficacia, nel rispetto delle normative europee e nazionali. In particolare, il Programma è teso ad adottare tutte le misure necessarie a garantire un elevato livello di tutela della salute relativamente alla donazione, raccolta, lavorazione, conservazione, stoccaggio, distribuzione e infusione delle CSE. Queste misure comprendono l’applicazione di processi e procedure comuni all’interno di infrastrutture e spazi dedicati ai pazienti, di professionalità formata e qualificata, e di programmi di implementazione e revisione atti a monitorare la conformità agli standard e le prestazioni delle strutture coinvolte.
L’implementazione costante delle sinergie messe in atto, la condivisione di dati mediante piattaforma informatica regionale, e la condivisione di studi e protocolli con gruppi di lavori nazionali ed internazionali permettono di perseguire un continuo miglioramento nell’ottica di raggiungere sempre migliori risultati per la cura dei nostri pazienti. Gli obiettivi di miglioramento continuo sono rappresentati dal mantenimento di standard di alta complessità nel percorso diagnostico terapeutico assistenziale del paziente onco-ematologico ed ematologico eleggibile al trapianto, dal mantenimento di alti livelli di standardizzazione di processi e procedure, dalla sicurezza di gestione dei donatori e dei prodotti, nonché dalla tracciabilità degli stessi, secondo gli aspetti normativi cogenti e secondo le linee guida specifiche, dal monitoraggio del flusso dei dati alle autorità competenti ed ai registri dedicati, dall’attività di ricerca preclinica e clinica condivisa.




IL PUNTO SUL PROGRAMMA DI PRELIEVO A CUORE FERMO
Come sviluppare un progetto DCD regionale
Giovanni Cianchi, Maria Luisa Migliaccio
Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi
cianchig@aou-careggi.toscana.it

Sviluppare oggi un processo Donation after Cardiac Death (DCD) non è più considerabile come un protocollo sperimentale. Infatti l’Ospedale S. Matteo di Pavia ha un programma operativo dal 20071 e varie esperienze di donazione dopo arresto cardiaco di polmone e fegato sono state realizzate in Italia. Recentemente il Centro Nazionale Trapianti (CNT) ha espresso un “position paper” su donazione a cuore fermo, mettendo alcuni punti fermi su quello che è lo stato attuale di questo processo di donazione in Italia.
Essenzialmente un progetto DCD per realizzarsi ha bisogno di una ottimale integrazione con i sistemi dell’emergenza territoriale che implica protocolli di trattamento condiviso con la realtà ospedaliera di riferimento, con l’implementazione della qualità del trattamento dell’arresto cardio-respiratorio (ACR) extra-ospedaliero in cui si incentivino le buone pratiche come l’aderenza alle linee guida, l’utilizzo precoce del monitoraggio della CO2 espirata e non ultimo l’utilizzo dei massaggiatori automatici.
Sebbene i trial clinici abbiano dimostrato che i massaggiatori meccanici non aumentano la sopravvivenza2, questo presidio si rivela molto utile nelle condizioni in cui il paziente in ACR debba essere trasportato durante le manovre di rianimazione, in quanto permette di ridurre i tempi di interruzione del massaggio cardiaco e i periodi di no-flow3.
Un aspetto particolarmente curato nella fase di pianificazione e attuazione del nostro progetto DCD è stato quello formativo. Infatti è stato realizzato un corso della durata di una mattina, dedicato a tutti gli operatori coinvolti nel processo, che oltre a spiegare il protocollo, si proponeva primariamente  di migliorare la comunicazione e l’interazione interprofessionale, avvalendosi di esperti di simulazione e di tecniche di videoripresa per favorire i de-briefing e l’apprendimento basato sull’esperienza.
Il corso ha formato 60 operatori sanitari (infermieri e medici del dipartimento di emergenza, del coordinamento locale donazioni, della terapia intensiva, oltre a perfusionisti, chirurghi e cardiologi), ha sicuramente permesso di migliorare l’accettazione del protocollo che altrimenti poteva essere percepito come critico nell’affollata routine di un pronto soccorso di un grosso ospedale.
L’esperienza pilota del centro di Firenze, grazie alla promozione del centro regionale trapianti toscano (Organizzazione Toscana Trapianti), ha suscitato l’interessamento di altre realtà regionali, che in collaborazione con i 118 locali, hanno cominciato una fase valutativa per verificare la fattibilità nelle loro realtà con diversi livelli di specializzazione.
Iniziare un progetto DCD, di fatto, implica  di modificare la consolidata consuetudine che  vede i pazienti non rianimati decedere al domicilio. Le remore di una non accettazione da parte dell’opinione pubblica di questa variazione è potenzialmente  più rilevante nei contesti locali che prevedano che il paziente in ACR venga trasferito non nell’ospedale di zona, ma in un centro più distante dove è operativo il protocollo DCD.
Nella nostra esperienza è risultato molto difficile da realizzare il contenimento dei tempi di trattamento sul territorio. Si tratta cioè di rianimare il paziente contestualmente al trasporto verso l’ospedale, al fine di minimizzare i tempi di basso flusso. In quest’ottica risulta fondamentale, oltre l’adeguata preparazione professionale, anche l’apporto tecnologico dei massaggiatori automatici.  
Infine è importante comprendere come i protocolli DCD, o di trattamento terapeutico dei pazienti con ACR refrattario, impegnino intensamente, per le prestazioni erogate, e in modo trasversale tante professionalità fuori e dentro l’ospedale. In quest’ottica, nella nostra esperienza, un adeguato processo formativo preliminare sembra essere un presupposto fondamentale per permetterne l’attuazione.

Il ruolo del coordinatore locale nel progetto DCD
Il ruolo del coordinatore locale donazioni (CL) acquista una nuova fisionomia nel progetto della donazione a cuore fermo, non solo per la complessità del processo stesso ma anche per la nuova fisionomia rispetto al sistema ospedale, coinvolto in questo processo. Infatti, nel nostro progetto il coinvolgimento del CL inizia già con la preallerta di un arresto cardiaco da parte del sistema territoriale in modo che possa essere presente e valutare senza interferire il processo clinico in atto. Solo in caso di dichiarazione di decesso da parte del medico del DEA diventa il motore del sistema che porterà a donazione. In attesa della dichiarazione di morte può però svolgere le sue classiche funzioni di  ricerca dell’anamnesi del paziente in trattamento per escludere i non eligibili alla donazione e contattare il centro regionale trapianti (CRT) per le dovute preallerte. Alla dichiarazione di morte il compito del CL è di subentrare al medico del DEA per la richiesta di donazione ai parenti se presenti, tenendo ben distinti i due tempi di colloquio in modo che le due figure mediche (chi cura e chi fa l’offerta di donazione) non siano la stessa persona e quindi sgombrare il terreno da qualunque equivoco (non è stato curato abbastanza per la donazione degli organi)
In attesa del consenso il CL conferma al CRT l’attivazione dei laboratori e delle équipe di prelevatori in modo che tutto il sistema donazione e trapianto si attivi come per la donazione a cuore battente. Fondamentale è disporre il trasferimento del potenziale donatore in sede diversa dal DEA in modo da permettere alla famiglia di stare accanto al proprio caro tutto il tempo necessario e ai consulenti di eseguire gli esami diagnostici necessari alla valutazione del potenziale donatore: eco addome, rx torace, fbs, ecc. Da questo momento fino al trasferimento in sala operatoria il CL si avvale della collaborazione di tutte le professionalità esistenti in ospedale: perfusionisti per il controllo del sistema extracorporeo, rianimatori, infermieri.
Il CL può essere il motore della diffusione dei progetti di donazione a cuore fermo a livello di altre realtà territoriali e ospedaliere in cui agli ospedali periferici, dotati di reparti di emodinamica interventistica, possono afferire pazienti eligibili per la donazione a cuore fermo, sia provenienti dal territorio, che deceduti in ospedale con l’espertizzazione delle professionalità già esistenti.
All’interno dell’ospedale il CL può identificare altri pazienti che rientrano nel processo donativo: i pazienti della categoria IV B di Maastricht, i pazienti che muoiono  in trattamento ECMO e che possono essere eligibili per la donazione sia a cuore battente che a cuore fermo, con il vantaggio di un sistema che è già in essere per la cura del paziente e con la possibilità di un contatto con i parenti più facile e con la possibilità di accorciare i tempi per la donazione.
Tutto questo implica l’impegno delle aziende al potenziamento del CL in termini di personale e di formazione alle tecniche di supporto extracorporeo eventualmente avviando progetti con copertura oraria limitata nel tempo, ma sostenibile per quel dato ospedale.
Il CL acquista quindi un ruolo centrale e di «motore» nel promuovere nella propria azienda la donazione a cuore fermo e soprattutto nella promozione della collaborazione  tra ospedale, 118 e reti di ospedali periferici.

Bibliografia
1. Geraci PM, Sepe V. Non-heart-beating organ donation in Italy. Minerva Anestesiol 2011; 77: 613-23.
2. Couper K, Smyth M, Perkins GD. Mechanical devices for chest compression: to use or not to use? Curr Opin Crit Care 2015; 21: 188-94.
3. Tranberg T. Quality of cardiopulmonary resuscitation in out-of-hospital cardiac arrest before and after introduction of a mechanical chest compression device, LUCAS-2; a prospective, observational study. Scand J Trauma Resusc Emerg Med 2015; 23: 37.




Il punto sul programma di donazione a cuore fermo (DCD)
Sergio Vesconi
Coordinamento trapianti, Regione Lombardia, Milano
trapianti@regione.lombardia.it

La donazione “ a cuore fermo” in Italia è del tutto lecita e non richiede particolari riferimenti normativi o etici rispetto ai principi esistenti che regolano il processo del prelievo degli organi e il trapianto nella donazione cosiddetta “a cuore battente” e che possono essere così riassunti, il rispetto della “dead donor rule” con accertamento della morte secondo le norme, (registrazione dell’EGC “piatto” per 20’) e il consenso o non opposizione alla donazione, anche qui verificato con specifiche procedure.
Un recente documento del Centro Nazionale Trapianti (CNT) ha dettagliatamente affrontato questo tema, nei diversi aspetti etico-normativi e organizzativi, con particolare riferimento alla cosiddetta “uncontrolled DCD”, cioè alla donazione in soggetti sistolici dopo arresto cardiocircolatorio inatteso o extraospedaliero, un settore nel quale esiste già una valida dimostrazione di fattibilità ed efficacia clinica, anche se limitata a pochi centri e a pochi casi (Pavia, programma “Alba” con prelievo di reni e recentemente di fegato e Milano Policlinico-Monza S. Gerardo, programma “DCD lung” con prelievo di polmone). Recentemente sono anche stati effettuati prelievi da donatori “a cuore fermo” in condizioni riconducibili alla cosiddetta “controlled DCD”, dopo sospensione dei trattamenti intensivi in pazienti ricoverati in Terapia Intensiva (a Torino, Ospedale S. Giovanni Bosco; a Milano, Ospedale S. Raffaele; a Pavia, Ospedale S. Matteo).
I diversi aspetti legati alla possibilità di introdurre stabilmente anche in Italia un programma DCD, nelle diverse modalità, sono stati di recente analizzati da un gruppo di lavoro ad hoc costituito dalla SIAARTI e dalla SITO, in stretta collaborazione con il CNT, e sono stati oggetto di una specifica pubblicazione.
A nostro parere due sono i punti che meritano un particolare approfondimento: quello della formazione, e del governo del programma.
Sono del tutto indispensabili iniziative di formazione del personale sanitario coinvolto a diverso titolo nei programmi DCD, medici e infermieri che operano in area critica a partire dal soccorso preospedaliero, nelle strutture di pronto soccorso e nei reparti di Terapia Intensiva.
Obiettivo di queste iniziative di formazione è la presentazione di tutti gli aspetti clinici e organizzativi che caratterizzano questo programma e che devono essere evidentemente conosciuti da tutti gli operatori delle diverse fasi del processo, ma soprattutto la piena condivisione delle finalità e degli scopi del progetto.
S’introducono infatti elementi di forte novità che devono essere compresi e apprezzati dal personale sanitario per garantire la piena e convinta adesione.
Analogamente deve essere coinvolta la componente trapiantologica, rappresentata dai sanitari, chirurghi e internisti, che operano nei centri di trapianto, che sono a loro volta chiamati a condividere un programma, che offre la possibilità di aumentare il numero dei trapianti in un contesto che presenta molti aspetti del tutto peculiari, soprattutto per la valutazione dell’idoneità dell’organo (basta pensare al tempo di ischemia calda del periodo di accertamento).
Esistono validi esempi di estensiva formazione verso gli operatori, come quelli realizzati in Toscana e in Lombardia, che possono fungere da utile modello per le altre realtà.
Nell’ambito delle iniziative di formazione, una particolare considerazione merita il tema della “controlled DCD”, che chiama in causa alcuni attori istituzionali, la SIAARTI in primo piano, a diffondere ulteriormente nella cultura dei sanitari, a partire dal mondo degli intensivisti, la problematica della gestione del fine vita in area critica, della sospensione dei trattamenti intensivi e, in questo contesto, della donazione degli organi.

Un secondo aspetto sul quale occorre richiamare l’attenzione è la necessità che i programmi DCD in Italia siano introdotti all’interno di un sistema di governo clinico, che passa attraverso le strutture di coordinamento regionale di trapianto (CRT) chiamate a identificare gli ospedali qualificati per la realizzazione del programma (in funzione delle loro caratteristiche e delle risorse disponibili) e il ruolo di coordinamento generale e supervisione del CNT.
I protocolli clinico-operativi dei diversi scenari sono stati redatti e vagliati sotto i singoli profili, sono quindi disponibili per la rete trapiantologica e dovranno essere adatti alle singole realtà.
Solo attraverso questo percorso sarà possibile offrire valide garanzie sulla qualità delle iniziative dei singoli centri, definire omogenei criteri di realizzazione delle procedure, rendere possibile una sistematica raccolta dei dati e dei risultati, ma soprattutto per assicurare all’opinione pubblica la validità del programma, nel rispetto dei principi fondamentali che regolano il processo di donazione e trapianto, per favorirne l’accettazione da parte della comunità medica e della società civile.
In questo contesto diventa anche possibile definire criteri omogenei di impiego e di valutazione dei sistemi di perfusione ex situ degli organi prelevati (Machine Perfusion, MP), secondo le regole della Health Tecnology Assessment, che rappresentano allo stato attuale delle conoscenze un  elemento di garanzia nel programma di trapianto di organi DCD.




IL PUNTO SULLE INFEZIONI DA BATTERI MULTI-RESISTENTI
I risultati dello studio CCM 2013-2015
Carlo Gagliotti1, Filomena Morsillo1, Maria Luisa Moro1,
Monica Monaco
2, Giulia Errico2, Annalisa Pantosti2,
Lucia Masiero
3, Francesca Vespasiano3
1. Agenzia sanitaria e sociale regionale Emilia-Romagna, Bologna
2. Istituto Superiore di Sanità, Roma
3. Centro Nazionale Trapianti, Roma
cgagliotti@regione.emilia-romagna.it

gruppo di lavoro
Alessandro Nanni Costa (Responsabile Scientifico), Francesco Procaccio, Francesca Vespasiano, Lucia Masiero, Andrea Ricci, Paola Di Ciaccio, Centro Nazionale Trapianti, Istituto Superiore di Sanità, Roma; Maria Luisa Moro, Carlo Gagliotti, Filomena Morsillo, Agenzia Sanitaria e Sociale Regione Emilia - Area Rischio Infettivo, Bologna; Alba Carola Finarelli, Assessorato Politiche per la Salute RER - Dir. Gen. Sanità e Politiche Sociali- Servizio Sanità Pubblica, Bologna; Antonino Di Caro, Istituto Nazionale per le Malattie Infettive “L. Spallanzani” IRCCS, Roma; Annalisa Pantosti, Monica Monaco, Giulia Errico, Aurora Garcia Fernandez, Dipartimento MIPI, Istituto Superiore di Sanità, Roma; Maria Paola Landini, Microbiologia, Policlinico Sant’Orsola Malpighi, Bologna; Paolo Grossi, Clinica delle Malattie Infettive e Tropicali, Università degli studi dell’Insubria, Varese; Giorgio Palù, Saverio Parisi, Dipartimento di Istologia, Microbiologia e Biotecnologie Mediche, Padova; Pierluigi Viale, UO Malattie Infettive, Policlinico Sant’Orsola Malpighi, Bologna; Antonio Daniele Pinna, Franco Stella, Policlinico Sant’Orsola Malpighi, Bologna; Michele Colledan, Marco Platto, Ospedali Riuniti, Bergamo; Luciano De Carlis, Mario Ravini, Eva Cibelli, Ospedale Niguarda, Milano; Giorgio Rossi, Luigi Santambrogio, Daniele Dondossola, Rosaria Carrinola, Policlinico, Milano; Pasquale Berloco, Francesco Pugliese, Federica Maldarelli, Giulia Paglialunga, Bianca D'Auria, Massimo Rossi, Federico Venuta, Policlinico Umberto I, Roma; Umberto Cillo, Federico Rea, Adelaide Da Riva, Azienda Ospedaliera, Padova; Bruno Gridelli, Marco Spada, Alessandro Bertani, Marco Canzonieri, Alessandra Mularoni, ISMETT, Palermo; Andrea Maria D’Armini, Elena Carrara, Policlinico S. Matteo, Pavia; Piero Paladini, Mariagrazia Cusi, Lucia Henrici De Angelis, Azienda Ospedaliera, Siena; Mauro Rinaldi, Mauro Salizzoni, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino - Presidio Molinette; Claudio Farina, Francesca Vailati, Ospedali Riuniti, Bergamo; Maria Paola Landini, Simone Ambretti, Paolo Gaibani, Policlinico Sant’Orsola Malpighi, Bologna; Giovanni Gesu, Chiara Vismara, Ospedale Niguarda, Milano; Erminio Torresani, Milena Arghittu, Rosaria Colombo, Policlinico, Milano; Carlo Mancini, Policlinico Umberto I, Roma; Piero Marone, Patrizia Cambieri, Policlinico S. Matteo, Pavia; Giorgio Palù, Lucia Rossi, Saverio Parisi, Azienda Ospedaliera, Padova; Pier Giulio Conaldi, Floriana Gona, ISMETT, Palermo; Lucina Fossati, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino - Presidio Molinette Torino; Maria Grazia Cusi, Azienda Ospedaliera, Siena

centri regionali di trapianto
PIEMONTE Antonio Amoroso; LOMBARDIA Sergio Vesconi, Rosanna Torelli, Elena Coluccio; VENETO Claudio Rago, Giuseppe Feltrin; EMILIA ROMAGNA Gabriela Sangiorgi, Carlo De Cillia; TOSCANA Adriano Peris, Manuela Bonizzoli; LAZIO Maurizio Valeri; SICILIA Vito Sparacino.


La relazione è centrata sui risultati del Progetto CCM “Prevenzione della diffusione di infezioni sostenute da microrganismi multiresistenti (MDR) in ambito trapiantologico e analisi del rischio (SInT)”. Il progetto, coordinato dal Centro Nazionale Trapianti (CNT), ha visto la partecipazione di 10 centri trapianti e ha avuto una durata complessiva di 18 mesi (12 mesi di arruolamento e 6 mesi per il completamento del follow-up degli ultimi riceventi inclusi). È stato arruolato un campione rappresentativo di donatori e riceventi trapianto di fegato e polmone con una popolazione in studio pari a 571 e 119 riceventi rispettivamente per i due tipi di trapianto. Le informazioni clinico-microbiologiche relative alle caratteristiche dei pazienti, all’esecuzione degli screening, alle diagnosi di infezioni e agli altri esiti nel follow-up a 180 giorni dalla data del trapianto sono state raccolte prospetticamente dai centri partecipanti. Gli isolati di enterobatteri con concentrazione minima inibente aumentata per meropenem (MIC≥0,5mcg/ml) sono stati raccolti e inviati al laboratorio dell’Istituto Superiore di Sanità per la tipizzazione feno/genotipica.
I centri partecipanti hanno conseguito un elevato livello di adesione al protocollo di studio: esecuzione degli screening su donatori e riceventi; compilazione delle schede in formato elettronico; invio degli isolati per gli approfondimenti microbiologici.
I risultati dello studio mostrano come le infezioni siano complicanze frequenti del decorso post-operatorio dei trapianti di fegato e polmone con tassi di infezione elevati soprattutto nel corso del primo mese dopo l’intervento. I microrganismi isolati sono frequentemente multiresistenti agli antibiotici con un ruolo centrale dei Gram negativi; tra questi ultimi risultano di particolare rilievo Klebsiella pneumoniae produttore di carbapenemasi e altri enterobatteri MDR. I trapianti di polmone e i trapianti in pazienti con precedente fallimento sono a maggior rischio di complicanze infettive e presentano una mortalità aumentata. È stata inoltre osservata una importante variabilità tra i centri partecipanti in termini di caratteristiche di base dei riceventi e frequenza degli esiti considerati (infezione e decesso).
È stata condotta un’analisi multivariata includendo i riceventi trapianto di fegato al primo trapianto con età maggiore di 18 anni che ha mostrato come aver avuto una infezione durante il follow-up a 180 giorni è significativamente associato all’esito decesso.
I risultati dello studio sottolineano l’importanza delle attività di sorveglianza e controllo degli MDR in ambito trapiantologico.




IL PUNTO SUL PROGRAMMA DI TRAPIANTO DA VIVENTE
Strategie per l’incremento del trapianto di rene da vivente:
cosa è stato fatto, cosa resta da fare
Luigi Biancone, Caterina Dolla
Centro Trapianti Renali “A. Vercellone”, divisione di Nefrologia,
Dialisi e Trapianto, Città della Salute e della Scienza
e Dipartimento di Scienze Mediche, Università degli Studi di Torino
luigi.biancone@unito.it

Il trapianto renale da donatore vivente ha avuto un diverso sviluppo nel mondo in relazione alla differente organizzazione dei sistemi sanitari e dei programmi di reperimento degli organi da donatore deceduto nonché a fattori etici e culturali.
Anche nell’ambito di regioni culturalmente più omogenee come l’Europa esistono differenze nel numero di trapianti da vivente, più diffusi negli stati del Nord a confronto con le regioni mediterranee.
In Italia nell’ultimo decennio si è assistito ad un progressivo incremento del numero di trapianti da donatore vivente (figura 1), tuttavia è ancora una pratica poco diffusa rispetto al trapianto da donatore deceduto e a confronto con altri Paesi, con delle differenze significative tra le varie regioni; per fare un semplice confronto, ad aprile 2014 erano stati eseguiti 251 trapianti da vivente, che avrebbero dovuto essere 484 in paragone ai tassi della Spagna e 1041 ai tassi dell’Inghilterra.
Il motivo è da ricercarsi da un lato nella relativa disponibilità di donatori deceduti, specchio di una buona attività di donazione e di una politica favorevole all’attività di prelievo e dall’altro ad un retaggio culturale1.
Se fino a poco fa la Spagna raggiungeva tassi di trapianti da vivente analoghi se non inferiori all’Italia, negli ultimi anni tale pratica è stata potenziata grazie anche alla maggiore diffusione dei trapianti ABO-incompatibili e dei programmi “cross over”.
Al contrario in USA, dopo un picco raggiunto nel 2004, vi è stato un calo del trapianto da vivente in relazione a fattori quali la modifica del programma di allocazione dei trapianti da cadavere, l’invecchiamento della popolazione, la pubblicazione dei risultati clinici dei singoli centri, la crisi economica2.
Il trapianto da vivente consente una migliore sopravvivenza del rene e del paziente trapiantato rispetto al trapianto da donatore deceduto (figure 2a e 2b), pertanto, considerando che in Italia il trapianto da vivente rappresenta meno del 10% dei trapianti eseguiti in un anno, nonostante numerosi centri italiani siano autorizzati ad effettuarlo, tale strategia va potenziata.



Circa il 30% dei donatori non viene inserito nei programmi convenzionali di trapianto da vivente a causa di AB0 o HLA incompatibilità: ciò ha stimolato in tutto il mondo il diffondersi delle pratiche di desensibilizzazione3,4. In Italia attualmente 13 centri attuano la strategia di desensibilizzazione in presenza di anticorpi specifici contro il donatore; 5 sono invece i centri con maggiore esperienza nell’ambito del trapianto AB0-incompatibile.
In vari Paesi è ormai consolidata la pratica del trapianto da vivente “indiretto”, attraverso programmi come la donazione “samaritana” o il “cross-over”, che hanno il vantaggio di non dover sottoporre il ricevente alla terapia desensibilizzante, ma che in Italia non sono ancora “esplosi”: risale solo ad aprile del 2015 la catena di cross-over innescata dal primo donatore samaritano.
Analogamente a quanto accade nel trapianto da donatore deceduto, si sta diffondendo anche per i trapianti da vivente l’utilizzo di donatori “subottimali”. Molti lavori mettono in evidenza un trend in aumento dei donatori con età superiore a 60 anni nel trapianto da vivente, con dei risultati soddisfacenti per il ricevente e un buon profilo di sicurezza per il donatore5-7.
È verosimile inoltre che il basso numero di trapianti di rene da donatore vivente eseguiti in Italia possa essere dovuto alla scarsità delle informazioni disponibili per i pazienti affetti da insufficienza renale cronica. Risulta di fondamentale importanza agire sull’informazione sia a livello “generale”, per formare l’opinione pubblica e sensibilizzare le autorità, sia in termini di informazione specifica di settore tra i medici di base e nei centri dialisi8. Si auspica la diffusione di programmi di educazione mirati da un lato alla popolazione generale e dall’altra ai pazienti affetti da insufficienza renale cronica nonché a medici e personale sanitario che rafforzino le conoscenza sul trapianto da vivente, al fine di potenziarne la diffusione9, fornendo una visione complessiva dei vari aspetti del trapianto da donatore vivente e delle procedure atte a garantire la massima tutela del donatore, inclusi gli aspetti etici della donazione di organi da vivente, le informazioni da fornire ai pazienti, i percorsi gestionali diagnostici10.
In Italia il trapianto da donatore vivente è in incremento, ma è importante l’impegno per una diffusione maggiore e più capillare di tale pratica, con delle strategie multidirezionali che prevedano migliore informazione, ampliamento della tipologia di donatori e potenziamento dei programmi diretti alla massimalizzazione delle possibilità di trapianto come il”cross over”.
Resta una considerazione di fondo: se da una parte la diffusione della pratica di trapianto da vivente nella maggior parte dei centri trapianto rene italiani può essere positivamente interpretata come un consenso allargato verso questa opzione trapiantologica, dall’altra l’esiguità della casistica di una moltitudine di piccoli centri può non favorire in questi centri l’adozione di tecniche come il prelievo laparoscopico o la desensibilizzazione che necessitano di consolidata esperienza. Questo può portare a considerare di accentrare il trapianto da vivente negli ospedali di documentata attività rilevante in questo campo, come avviene in molti Paesi esteri.

Bibliografia
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3. Poldervaart R, Laging M, Royaards T, et al. Alternative living kidney donation programs boost genetically unrelated donation. J Transplantation 2015; Epub 2015 Sep 2
4. Maggiore U, Frascà G, Pugliese MS, Tognarelli G. Controversia: il trapianto renale ABO-incompatibile. Giornale italiano di Nefrologia 2013; 2:
5. Dols LFC, Kok NFM, Roodnat JI, et al. Living kidney donors: impact of age on long-term safety. Am J Transplant 2011; 11: 737-42.
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7. Laging M, Kal-Van Gestel J.A, van de Wetering J, et al. The relative importance of donor age in deceased and living donor kidney transplantation. Transpl Int 2012; 25: 1150-7.
8. Garcia GG, Harden PN, Chapman JR. World Kidney Day 2012: the global role of kidney transplantation. Am J Kid Dis 2012; 59: 319-24.
9. Waterman AD, Rodrigue JR, Purnell TS. Addressing racial and ethnic disparities in live donor kidney transplantation: priorities for research and intervention. Semin Nephrol 2010; 30: 90-8.
10. Centro Nazionale Trapianti. Documento informativo sul programma di trapianto di rene da donatore vivente.
www.trapianti.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1186_allegato.pdf




IL PUNTO SULL’ATTIVITÀ DI PRELIEVO, DONAZIONE E TRAPIANTO DI TESSUTI
tema 1
il codice unico europeo
(sec) per tessuti e cellule
Il codice unico europeo (SEC) per tessuti e cellule.
Le Direttive europee e lo sviluppo del SEC in Europa
Angelo Ghirardini1,2, Valentina Caramia2
1. Centro Nazionale Trapianti, Roma
2. CRT - Emilia Romagna, Bologna
angelo.ghirardini@aosp.bo.it

Una delle tematiche da affrontare per fare il punto sull’attività di prelievo, donazione e trapianto di tessuti e cellule è quella del codice unico europeo (SEC: Single European Code) che sarà necessario applicare a queste ultime, nel rispetto delle Direttive europee redatte in materia; la più recente delle quali è la Direttiva 2015/565/CE che modifica la Direttiva 2006/86/CE “per quanto riguarda determinate prescrizioni tecniche relative alla codifica di tessuti e cellule” e il cui termine per il recepimento è fissato per il 29 ottobre 2016, sei mesi prima del termine per l’avvio dell’applicazione del codice, il 29 aprile 2017.
Gli obblighi delle autorità competenti degli Stati membri, elencati all’articolo 8 della direttiva 2004/23/CE, evidenziano l’importanza di garantire la rintracciabilità di tessuti e cellule, l’istituzione di un sistema che assegni il codice unico ad ogni donazione e prodotto, l’obbligo di apporre un’etichetta su ogni prodotto e di conservare i dati utili a garantirne la rintracciabilità.
In particolare, all’obbligo di tracciabilità viene dedicato l’articolo 9 della direttiva 2006/86/CE (modificato dall’articolo 1, c. 2, della direttiva 2015/565/CE) che afferma che gli Stati membri sono tenuti a garantire la tracciabilità di tessuti e cellule grazie alla documentazione e all’utilizzo del codice unico europeo, dall’approvvigionamento all’applicazione sull’uomo.
Il SEC si applica a tutti i tessuti e cellule distribuiti a fini di applicazioni sull’uomo ed è costituito da una sequenza d’identificazione della donazione e da una sequenza d’identificazione del prodotto (figura 1).
Sia le autorità competenti che gli istituti dei tessuti devono rispettare delle prescrizioni minime.
Nello specifico, le prime devono assegnare un numero unico a tutti gli istituti dei tessuti, decidere quale sistema utilizzare per l’assegnazione del numero unico della donazione, assicurare la piena applicazione del SEC e convalidare e aggiornare i dati sugli istituti dei tessuti. I secondi sono tenuti ad assegnare un SEC ai prodotti che lo richiedono prima della loro distribuzione, non modificare la sequenza d’identificazione della donazione assegnata, utilizzare uno dei sistemi di codifica dei prodotti autorizzati (tabella I) e un numero specifico della sottopartita e una data di scadenza appropriata, applicare il codice unico europeo sull’etichetta del prodotto in questione in modo permanente e indelebile e notificare all’autorità competente eventuali aggiornamenti o correzioni, sia al compendio degli istituti dei tessuti dell’UE che al compendio dei prodotti dell’UE.










tema 2
il prelievo multi-tessuto da donatore
Il prelievo multi-tessuto in Emilia-Romagna.
Équipe multiple di prelievo di tessuti
Nicola Alvaro, Gabriela Sangiorgi
Centro Riferimento Trapianti dell’Emilia-Romagna,
Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna
nicolalvaro@gmail.com

La regione Emilia-Romagna, nell’ambito della donazione dei tessuti da donatore cadavere, si caratterizza per la presenza di più équipe che si recano nell’ospedale sede della donazione e ognuna preleva il tessuto che gli compete.
Una tale organizzazione è il risultato, sostanzialmente, di due fattori: da un lato una vera e propria scelta “politica” di non concentrare tutte le attività di prelievo e bancaggio di tessuti a Bologna, in particolare al Policlinico S. Orsola-Malpighi, e dall’altro è il risultato della presenza in regione di due ospedali “storici” con un’attività fortemente caratterizzante. Ci riferiamo all’Istituto Ortopedico Rizzoli che già dagli anni ’50 effettuava innesti ossei sostitutivi da donatore vivente e che, nel 1962, vede nascere una prima struttura con funzioni di banca dell’osso dove già nel 1980 vengono effettuati i primi trapianti con innesti massivi da donatore cadavere; e all’Ospedale Bufalini di Cesena dove, sul finire degli anni ‘90, per la presenza di un importante centro per la cura dei grandi ustionati nasce la Banca della Cute con l’obiettivo di garantire la presenza e quindi l’impiego clinico di lembi dermo-epidermici in pazienti gravemente ustionati.
Successivamente, nel 2002, tali strutture vengono riconosciute ufficialmente con una specifica normativa regionale e accanto ad esse nascono la Banca delle cornee presso l’Ospedale Maggiore di Bologna, la Banca dei segmenti vascolari al S. Orsola-Malpighi e la Banca delle valvole cardiache sempre al Policlinico S. Orsola-Malpighi di Bologna.
Attualmente quando in regione si genera un donatore idoneo per la donazione di tutti i tessuti le équipe impegnate nel prelievo sono: l’équipe della cute che, in pratica, è costituita da un medico che parte dalla sede della banca (ospedale di Cesena) e con viaggio e tempistica definiti dal Centro Riferimento Trapianti dell’Emilia-Romagna (CRT-ER) si reca nella sede della donazione; l’équipe dei segmenti osteo-tendinei che è costituita da un ortopedico e vari tecnici dell’Istituto Rizzoli e anche in questo caso il viaggio e la tempistica di prelievo sono definiti dal CRT-ER; l’équipe per il prelievo dei vasi ematici e del cuore per valvole che, solitamente, è costituita da professionisti che lavorano nell’ospedale sede della donazione e, infine, il medico prelevatore delle cornee anch’esso un professionista che normalmente lavora nelle sede della donazione.
La segnalazione del potenziale donatore di tessuti è supportata dal sistema informatico regionale che consente di creare la “scheda del donatore” completa di tutti i dati anamnestici, di laboratorio e strumentali, e consente, inoltre, di stampare tutti i verbali di prelievo necessari per la corretta tracciabilità della donazione.
I livelli di attività di prelievo di tessuti in regione Emilia-Romagna sono buoni, annualmente vengono prelevate oltre 1000 cornee, circa 50 valvole cardiache, circa 140 segmenti vascolari, mediamente 200.000 cm2 di cute e oltre 1000 segmenti osteo-tendinei.




TRAPIANTO… E ADESSO SPORT
La somministrazione dell’attività fisica nei pazienti trapiantati
Giovanni Mosconi1, Giulio Sergio Roi2,
Gianluigi Sella3, Alessandro Nanni Costa4
1. Unità Operativa di Nefrologia e Dialisi,
Ospedale Morgagni Pierantoni Forlì
2. Centro Studi Isokinetic, Bologna
3. Centro Medicina dello Sport,  
Dipartimento di Sanità Pubblica,
AUSL Ravenna
4. Centro Nazionale Trapianti, Roma
giovanni.mosconi@auslromagna.it

Introduzione
Il trapianto costituisce il gold standard del trattamento di patologie d’organo terminali non reversibili. Negli ultimi anni si è registrato un miglioramento dei risultati a medio termine con riduzione degli episodi di rigetto; la patologia cardiovascolare tuttavia costituisce tuttora una importante causa di morbilità e mortalità1. Nei pazienti trapiantati sono presenti fattori di rischio cardiovascolare quali dismetabolismo glucidico e lipidico, sovrappeso, stato di infiammazione subclinica, ridotte masse muscolari che possono essere contrastati da adeguati stili di vita (es. attività fisica); numerose evidenze mostrano come l’apparato muscolare costituisca un elemento essenziale nel controllo metabolico attraverso una costante interrelazione con il tessuto adiposo2. Nei pazienti con trapianto l’efficacia dell’attività fisica è stata solo parzialmente studiata; sono disponibili dati positivi a medio termine su outcome secondari (potenza aerobica, forza muscolare, percezione dello stato di benessere) che nella popolazione generale si correlano con una migliore sopravvivenza3. Nell’ottica di un utilizzo dell’attività fisica come “terapia” il Centro Nazionale Trapianti (CNT) ha impostato a partire dal 2008 il programma di studio “Trapianto… e adesso Sport”.

Centro Nazionale Trapianti.
Programma “Trapianto… e adesso Sport”
L’attività del programma si è sviluppata attraverso diverse fasi sempre con l’obiettivo primario di contrastare la tendenza alla sedentarietà. Inizialmente sono stati studiati trapiantati che già praticavano attività sportiva. In condizioni climatiche ed ambientali diverse (alta montagna, pianura, deserto) sono state analizzate le prestazioni che un trapiantato era in grado di raggiungere, il consumo energetico, l’incidenza di eventi avversi4. L’insieme dei risultati ha evidenziato, oltre ad una sicurezza del farmaco “esercizio fisico/sportivo”, la capacità dello sport di migliorare la percezione dello stato di benessere5. Sono state analizzate le variazioni laboratoristiche (emocromo, citochine, funzione renale, es. urina) indotte da una prestazione sportiva intensa e prolungata (maratona ciclistica di 130 km, dislivello 1871 metri); i dati di 18 pazienti sottoposti a trapianto sono stati comparati con un gruppo di 35 soggetti sani con determinazioni prima della competizione, immediatamente dopo il termine e a distanza di 18-24 ore. Nei due gruppi si è evidenziato un andamento consensuale dei diversi parametri; relativamente alla funzione renale si è registrata una riduzione del eGFR subito dopo la competizione con ritorno ai valori basali dopo 18-24 ore. Nei soggetti trapiantati si sono registrati una minore capacità di concentrazione urinaria ed un maggiore incremento di albuminuria e proteinuria con tendenza alla normalizzazione il giorno successivo alla competizione 6. Il dato basale delle citochine infiammatorie (tumor necrosis factor, interferon gamma, interleuchina6) dei trapiantati “sportivi” è risultato sovrapponibile a quello della popolazione sana; una comparazione con i dati di 34 trapiantati sedentari ha evidenziato in questi ultimi un profilo di maggior infiammazione subclinica7.
Il progetto “Trapianto… e adesso Sport” si è incentrato soprattutto sulla realizzazione di un protocollo per la valutazione degli effetti di una attività fisica supervisionata protratta per un anno (esercizio aerobico associato a potenziamento muscolare). Il programma sviluppatosi in Emilia Romagna e Veneto si è esteso a Piemonte, Toscana, Lombardia, Provincia Autonoma di Bolzano, Abruzzo, Molise, Sicilia, Lazio, Marche. Il presupposto è stato quello di una “prescrizione di esercizio” personalizzata in base alle singole capacità funzionali (Centri di Medicina Sportiva) con somministrazione in palestre certificate da parte di laureati in Scienze Motorie. I dati preliminari dopo un anno di osservazione in 26 pazienti con trapianto (21 rene, 5 fegato) hanno evidenziato un miglioramento della massima capacità aerobica (5-18%), della forza muscolare (arti inferiori dal 4-25%; arti superiori 1-2%), dello stato nutrizionale (BMI -1%), della percezione dello stato di benessere (HRQoL 7% - 28%). Non si sono registrate variazioni della funzionalità renale e della proteinuria; non si sono inoltre registrati episodi di drop-out legati all’attività fisica, né episodi di rigetto 8. I dati sono stati confermati su più ampie casistiche; è in elaborazione un lavoro con i risultati conseguiti in 58 trapianti di rene confrontati con un gruppo di controllo a cui erano state fornite generiche indicazioni circa lo stile di vita. Sono in corso le valutazioni in pazienti con trapianto di cuore, di fegato, di polmone.

Discussione
Il programma di studio “Trapianto… e adesso Sport” ha evidenziato nei pazienti trapiantati i positivi effetti dell’attività fisica sulla capacità aerobica e muscolare, sulla percezione dello stato di benessere, sul profilo di infiammazione tipico del soggetto con malattia cronica. L’esercizio fisico si propone come farmaco da prescrivere e somministrare, previa valutazione del quadro basale cardiocircolatorio; la combinazione di esercizio aerobico e di potenziamento muscolare costituisce una buona opzione terapeutica. Il progetto ha permesso, attraverso un programma educazionale mirato, la formazione di oltre 250 professionisti (42 trapiantologi, 93 medici dello sport, 131 laureati in Scienze Motorie) e la creazione di una rete interdisciplinare in grado di gestire l’esercizio fisico supervisionato nei pazienti trapiantati. Il Consiglio di Europa ha recepito l’esperienza del CNT e ha pubblicato una position paper nella quale si ribadisce come “presso istituzioni, autorità nazionali e specialisti del settore dovrebbe accrescersi la consapevolezza dei vantaggi per i pazienti trapiantati di una prescrizione di attività fisica. Questo sarebbe utile non solo ai pazienti ma anche agli stessi Paesi riducendo il costo del follow-up post-trapianto (impatto economico), accelerando il ritorno dei pazienti sul posto di lavoro (impatto socio-economico), migliorando la qualità della loro vita, confermando l’efficacia del trapianto come terapia salva-vita, aumentando la fiducia nel sistema dei trapianti, sensibilizzando verso la cultura della donazione (impatto pubblico e sociale)” 9. È opportuno ipotizzare l’ampliamento in programmi di regolare attività fisica dei pazienti in attesa di trapianto9. Restano aperti aspetti quali la standardizzazione della “prescrizione della dose”, la sostenibilità economica, il passaggio di un esercizio supervisionato ad una forma autogestita a domicilio10, la collaborazione con le associazioni di pazienti e le modalità di monitoraggio (coinvolgimento dei CRT?). È auspicabile che programmi di collaborazione con i Centri di Medicina dello Sport possano costituire uno dei criteri di qualità nel corso degli audit dei centri trapianto.

Conclusioni
L’attività fisica non è una panacea per tutti i problemi correlati con una patologia cronica, ma questo “nuovo farmaco” costituisce una possibilità terapeutica sottostimata in una popolazione con alta morbilità cardiovascolare, dismetabolismo, tendenza alla sedentarietà. La diffusione della cultura dell’attività fisica nella popolazione in attesa o già con trapianto costituisce un importante obiettivo per la prevenzione ed il miglioramento della qualità di vita. La disponibilità di una rete nazionale multidisciplinare in via di progressivo sviluppo costituisce una potenzialità da sfruttare adeguatamente nei prossimi anni.

Bibliografia
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